Elezioni europee e rivoluzione digitale

Per la nona volta i cittadini dell’Unione sono stati chiamati ad eleggere i loro rappresentanti e in un quadro particolarmente fluido.
Un fattore piuttosto misconosciuto reclama invece attenzione per il suo carattere pervasivo: la rivoluzione digitale. La colgo sotto tre profili: nella sua possibilità di influire sul processo democratico, nel rappresentare le istanze del nostro tempo ed infine nel bisogno che ha di essere governata. Vorrei soffermarmi sulla terza questione perché mi pare decisiva.
Il Center for the Governance of Change dell’università IE di Madrid ha investigato l’atteggiamento degli europei nei confronti dei cambiamenti tecnologici. 2.576 cittadini di otto nazioni europee, Italia compresa, ci restituiscono un quadro complesso e sostanzialmente di paura e diffidenza.
Il 56% degli europei è preoccupata che i robot possano sostituire posti di lavoro umani ed il 70% ritiene che, se non controllate, le nuove tecnologie causeranno più danni che benefici. Il 67% pensa che la governance delle nuove tecnologie sia, con il cambiamento climatico, la più grande sfida che l’UE deve affrontare in questo momento. Ma il cambiamento è percepito anche a livello sociale: oltre due terzi degli europei intervistati (il 68%) ritengono che le persone trascorreranno più tempo a socializzare online che di persona. La ricerca evidenzia poi che le istituzioni non siano all’altezza di questi cambiamenti: la maggior parte delle persone intervistate (60%) ritiene che il sistema non educhi a fronteggiare tali sfide. Addirittura un intervistato su quattro è in qualche modo totalmente a favore che un’intelligenza artificiale prenda decisioni importanti sulla gestione del proprio paese. La maggior parte degli europei ritiene che i governi dovrebbero intervenire per limitare l’automazione e affrontare gli effetti negativi sulla società.
Oltre il 50% ritiene che i contenuti politici e ideologici dovrebbero essere banditi dai social network per proteggere la democrazia. Infine il 40% ritiene che l’impresa per cui lavora sparirà nei prossimi 10 anni se non attuerà cambiamenti profondi e rapidi. La rivoluzione digitale fa dunque paura. Cosa significa allora annunciare il Vangelo in questo contesto e come viverlo, educare ed educarci, testimoniarlo anche nelle scelte politiche così che la Chiesa possa contribuire a vivere questo tempo? In questo spazio provo ad offrire solo alcune suggestioni. La paura si vince con la comunione: tra generazioni, intraecclesiale ed in dialogo con il mondo. Non possiamo semplicemente stigmatizzare gli elementi di criticità, dobbiamo essere propositivi e per farlo ragionare e condividere saperi. Virtuale e reale sono distinzioni che non rappresentano più la realtà che è molto più fluida, esperti nel tenere insieme umano e divino possiamo concorrere a custodire una sana tensione che non sia fusione o esclusione tra off line ed on line.
Accompagniamo la digitalizzazione affinché non sia digitismo, una sorta di profezia salvifica basata sulla tecnologia e rammentiamo a noi stessi ed al mondo che l’essere umano ha contemporaneamente dei limiti che non ha senso tentare di superare con artefatti, ma è anche una differenza, la cui matrice è per noi divina, che non va semplicemente preservata ma, al contrario, valorizzata affinché sia capace di dare la vita e darla in abbondanza. Gli europei si sono già dotati di organismi di azione e di pensiero per governare il digitale, esistono direttive sull’intelligenza artificiale, sui big data e presto altre verranno.
A differenza del mondo Usa guidato da criteri commerciali e del mondo cinese ove lo stato decide e dirige, l’Europa può continuare a scegliere che sia il popolo e le sue intelligenze a governarne il futuro, senza chiusure luddiste, senza aperture fataliste. Ma attingendo, ancora una volta, alle sue radici cristiane.
Secondo alcuni le fiamme di Notre Dame hanno riacceso il genio europeo illuminato dalla fede, ammettiamo che sia vero e lavoriamo affinché sia per l’oggi digitale un grembo accogliente di quanto lo Spirito suggerisce alla nostra generazione.

Articolo apparaso originariamente qui