La teologia alle prese con le nuove
tecnologie. O, meglio, quali sono le risposte che la riflessione
teologica è chiamata a dare in quest’epoca di nuovi scenari scientifici e
culturali imposti dalla rivoluzione digitale? Come può essere un
laboratorio di ricerca che sviluppi un metodo dialogico e
interdisciplinare? Sono gli interrogativi che hanno fatto da sfondo alla
terza sessione del seminario dei docenti di Teologia e degli assistenti
pastorali in corso nella città dei Sassi nell’ambito del progetto “Università Cattolica incontra Matera 2019”.
«L’atteggiamento corrente nei confronti della tecnologia e delle innovazioni scientifiche, soprattutto quelle connesse alle tecnologie emergenti, è fortemente schierato», ha detto Luca Peyron, docente di Teologia all’Università Cattolica e all’Università di Torino e coordinatore del dibattito Teologia e innovazioni scientifiche: cambiamenti e prospettive. «Entusiasti e cacciatori di streghe, apocalittici e integrati sono abbastanza equamente distribuiti sui due fronti e le motivazioni che li animano sono le più diverse». In realtà la questione centrale è che «questi cambiamenti vanno educati e accompagnati e a esser educati e accompagnati sono soprattutto coloro che più di altri sono sprovvisti di strumenti culturali, i veri nuovi poveri, i veri scarti di una società in cui il caro vecchio buon senso non basta più».
Secondo Adriano Fabris, docente di Filosofia ed Etica della comunicazione all’Università di Pisa, due sono le novità che gli sviluppi della rete hanno comportato e stanno comportando su un piano antropologico: in primo, luogo il fatto che la comunicazione si sta trasformando sempre di più, da trasmissione di messaggi e di informazioni in un vero e proprio ambiente di vita; in secondo luogo, questi apparecchi stanno acquisendo una sempre maggiore autonomia e con essi ci troviamo a interagire. Tutto ciò comporta una «serie di conseguenze sulle condizioni di vita dell’essere umano, sulle sue relazioni con gli altri esseri, naturali e artificiali, sulla sua comprensione di se stesso, del suo essere al mondo». I problemi che ne derivano sono di grande significato. C'è «un cambiamento strutturale riguardo a quella stessa idea di etica che è stata finora elaborata nella storia del pensiero».
Quali sono le conseguenze di tutto ciò e le sfide da affrontare? La prima difficoltà, ha osservato il professor Fabris, riguarda l’insegnamento, anche universitario. Il riferimento è al fatto che «un’autorevolezza basata sulla competenza dell’esperto pare ormai non essere più riconosciuta». Perché ciò accade? «Molto dipende dalla struttura delle forme di comunicazione oggi più diffuse, e di ciò che esse veicolano».
La sfida è ripensare questa interazione con gli ambienti artificiali per la formazione universitaria. «Non sono più necessari gli opinion leader, ora chiunque può esprimere la propria opinione: basta che acceda a una piattaforma, che rende tutto piatto, omologato. Ciò comporta la trasformazione dell’opinione pubblica in un pubblico di opinionisti», ha detto Fabris. In questo contesto un ripensamento della fiducia diventa dunque decisivo poiché «la dimensione della fiducia (ovvero della fede) e dell’affidamento, l’idea di quel controllo possibile delle cose e del mondo che l’essere umano non è in grado di acquisire, vengono spostati da Dio all’essere umano, e poi dall’essere umano alla macchina». Dal senso di potenza si passa a un senso di impotenza: è la macchina che si candida a diventare Dio. Per uscire da questo circolo vizioso va recuperato quello che noi siamo il «senso intrinseco, intimo, del nostro limite» quello di un essere che, proprio nella sua limitatezza, è costantemente «in relazione con altro».
Anche Raffaele Maiolini, docente di Teologia fondamentale si è concentrato sulla struttura relazionale dell’essere umano. E lo ha fatto proponendo tre passaggi cruciali: il bisogno della teologia di ripensarsi, l’aiuto che alcune discipline, come la psicanalisi, possono dare a questo ripensamento e alcuni possibili sbocchi. «Ripensare come si origina e come vive l’umano è il punto di partenza imprescindibile per poter riflettere (anche teologicamente) tanto più sulla fede, visto che essa è il nome sintetico per dire (dal punto di vista teologico cristiano) il modo con cui l’uomo è in relazione e ha accesso alla conoscenza con la rivelazione di Dio».
Ma «se filosofia e teologia devono costantemente cercare di confrontarsi con l’irriducibile portata del tempo presente e cogliere in esso la presenza dell’opera di Dio, anche le nuove tecnologie, che sono un luogo essenziale di novità storica, possono essere significative», ha detto Roberto Diodato, filosofo e docente di Estetica all’Università Cattolica. «Le nuove tecnologie sono costruzioni di ambienti relazionali. L’ambiente virtuale è, dal punto di vista ontologico, una relazione reale». Da qui la possibilità di «un incremento di esperienza della realtà, esperienza che dovrà cercare delle motivazioni che la regolino; motivazioni che non potranno che provenire da una riflessione su quale sia la speranza che muove la ricerca umana».
Qui il post originale
«L’atteggiamento corrente nei confronti della tecnologia e delle innovazioni scientifiche, soprattutto quelle connesse alle tecnologie emergenti, è fortemente schierato», ha detto Luca Peyron, docente di Teologia all’Università Cattolica e all’Università di Torino e coordinatore del dibattito Teologia e innovazioni scientifiche: cambiamenti e prospettive. «Entusiasti e cacciatori di streghe, apocalittici e integrati sono abbastanza equamente distribuiti sui due fronti e le motivazioni che li animano sono le più diverse». In realtà la questione centrale è che «questi cambiamenti vanno educati e accompagnati e a esser educati e accompagnati sono soprattutto coloro che più di altri sono sprovvisti di strumenti culturali, i veri nuovi poveri, i veri scarti di una società in cui il caro vecchio buon senso non basta più».
Secondo Adriano Fabris, docente di Filosofia ed Etica della comunicazione all’Università di Pisa, due sono le novità che gli sviluppi della rete hanno comportato e stanno comportando su un piano antropologico: in primo, luogo il fatto che la comunicazione si sta trasformando sempre di più, da trasmissione di messaggi e di informazioni in un vero e proprio ambiente di vita; in secondo luogo, questi apparecchi stanno acquisendo una sempre maggiore autonomia e con essi ci troviamo a interagire. Tutto ciò comporta una «serie di conseguenze sulle condizioni di vita dell’essere umano, sulle sue relazioni con gli altri esseri, naturali e artificiali, sulla sua comprensione di se stesso, del suo essere al mondo». I problemi che ne derivano sono di grande significato. C'è «un cambiamento strutturale riguardo a quella stessa idea di etica che è stata finora elaborata nella storia del pensiero».
Quali sono le conseguenze di tutto ciò e le sfide da affrontare? La prima difficoltà, ha osservato il professor Fabris, riguarda l’insegnamento, anche universitario. Il riferimento è al fatto che «un’autorevolezza basata sulla competenza dell’esperto pare ormai non essere più riconosciuta». Perché ciò accade? «Molto dipende dalla struttura delle forme di comunicazione oggi più diffuse, e di ciò che esse veicolano».
La sfida è ripensare questa interazione con gli ambienti artificiali per la formazione universitaria. «Non sono più necessari gli opinion leader, ora chiunque può esprimere la propria opinione: basta che acceda a una piattaforma, che rende tutto piatto, omologato. Ciò comporta la trasformazione dell’opinione pubblica in un pubblico di opinionisti», ha detto Fabris. In questo contesto un ripensamento della fiducia diventa dunque decisivo poiché «la dimensione della fiducia (ovvero della fede) e dell’affidamento, l’idea di quel controllo possibile delle cose e del mondo che l’essere umano non è in grado di acquisire, vengono spostati da Dio all’essere umano, e poi dall’essere umano alla macchina». Dal senso di potenza si passa a un senso di impotenza: è la macchina che si candida a diventare Dio. Per uscire da questo circolo vizioso va recuperato quello che noi siamo il «senso intrinseco, intimo, del nostro limite» quello di un essere che, proprio nella sua limitatezza, è costantemente «in relazione con altro».
Anche Raffaele Maiolini, docente di Teologia fondamentale si è concentrato sulla struttura relazionale dell’essere umano. E lo ha fatto proponendo tre passaggi cruciali: il bisogno della teologia di ripensarsi, l’aiuto che alcune discipline, come la psicanalisi, possono dare a questo ripensamento e alcuni possibili sbocchi. «Ripensare come si origina e come vive l’umano è il punto di partenza imprescindibile per poter riflettere (anche teologicamente) tanto più sulla fede, visto che essa è il nome sintetico per dire (dal punto di vista teologico cristiano) il modo con cui l’uomo è in relazione e ha accesso alla conoscenza con la rivelazione di Dio».
Ma «se filosofia e teologia devono costantemente cercare di confrontarsi con l’irriducibile portata del tempo presente e cogliere in esso la presenza dell’opera di Dio, anche le nuove tecnologie, che sono un luogo essenziale di novità storica, possono essere significative», ha detto Roberto Diodato, filosofo e docente di Estetica all’Università Cattolica. «Le nuove tecnologie sono costruzioni di ambienti relazionali. L’ambiente virtuale è, dal punto di vista ontologico, una relazione reale». Da qui la possibilità di «un incremento di esperienza della realtà, esperienza che dovrà cercare delle motivazioni che la regolino; motivazioni che non potranno che provenire da una riflessione su quale sia la speranza che muove la ricerca umana».
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