Addio all'iconica agenda. La fine della Smemoranda e la forza dei legami deboli

La notizia rimbalza tra le testate e suscita nella mia generazione, che ancora le testate in effetti le frequentano, curiosità, nostalgia e un sorriso che si fa un po’ amaro. Fallisce “Smemoranda” e l’asta per il marchio va deserta. Quelle pagine, le vignette, i foglietti staccabili, sono stati per una generazione trama e ordito dei primi amori, delle prime delusioni, del diventare grandi negli anni ’80 e ’90. C’erano i pensieri, sgangherati o già lineari, di chi entrava bimbo alle superiori e ne usciva se non proprio adulto certamente molto diverso, per timbro di voce, fattezze del corpo ed esperienza di vita. 

Ogni anno un tema, e noi anno per anno farcivamo di biglietti di concerti, cinema e fotografie tutto quello che restava. Diversi i fattori del fallimento, il più decisivo è la mutazione del raccontarsi tra adolescenza ed età della giovinezza. Non si scrive più, si pubblica un’immagine. Ma sarebbe sbagliato pensare che oggi i giovani non abbiano segreti da custodire, quelli che noi affidavamo alla Smemo, ma solo vite più o meno vere da esibire, quelle che scorrono sui social. È solo tutto più digitale, ma più veloce. I ricordi belli si narrano, ma spariscono nelle storie di 24 ore, alcuni di quelli di carta si appendono nella propria camera, ma molto più riservata e segreta di un tempo.

Ogni epoca ha le sue modalità di esercizio. Certo in digitale non restano macchie di caffè o parole sgranate dalle lacrime di chi le sta scrivendo. E la velocità non aiuta nello stesso modo a elaborare i lutti del crescere. Dove resta memoria delle crisi affrontate e superate? Dove trovare la speranza che ce la puoi fare perché ce l’hai fatta? Dove recuperare il coraggio per andare oltre, se non ci sono segni che quello che ti sembrava una tragedia in fondo era solo una commedia di cui, a distanza debita, puoi persino ridere? Oggi faccio un vocale per sfogo, se lo senti, bene, ma comunque mi sono sfogato. Questa generazione parla molto di più, spesso ai molti della chat degli amici intimi più che a uno solo, a una sola. E poi ci sono le note scritte. La smemo di oggi è il telefono, meno polveroso, molto più spazio per farcirlo di foto, infinito perché vive non nell’oggetto ma nel cloud. Pensare se sia meglio o peggio è un esercizio inutile.

Tutto è solamente e decisamente “molto di più”. Veloce, complesso, infodemico, debole. Gli adulti della Smemo dovrebbero farsi nel cambio d’epoca rilegatura che tiene insieme questo mosaico variabile, in afasia di adultità e in permanente stasi di legami deboli. Mark Granovetter li ha ben dipinti, analizzando il mondo del lavoro. Oltre il 66% lo ha trovato tramite una connessione personale, ma solo il 17%, è un contatto frequente, il 55% occasionale e il 28% quasi nullo. Emerge dalla ricerca che oltre l’83% ha trovato lavoro grazie ai legami “deboli”, cioè relazioni occasionali. E se i cristiani della Smemo – e non solo – avessero oggi la vocazione di prendersi cura di questi legami deboli? Intendo, rispetto ai giovani, ma anche verso il popolo delle nostre celebrazioni, il frantumato mondo sociale, le scale dei condomini? Lucignoli fumiganti. Ma pur sempre luce.


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