Otto punti, come le otto beatitudini evangeliche. Otto suggerimenti-riflessioni per usare il digitale senza perdere di vista gli obiettivi del cammino di fede del singolo e delle comunità, senza confondere i ruoli. Questo il Vademecum che il servizio diocesano per l’apostolato digitale ha messo a punto e sta diffondendo in questi giorni in cui internet e i social rappresentano la nostra «fuga» dai vincoli imposti per contrastare la pandemia, il mezzo con cui abbattere l’isolamento forzato, il luogo dell’informazione, dello svago e anche della vita spirituale. Utili facebook e youtube o indispensabili? Tutto può diventare digitale per alimentare il cammino di fede di una comunità parrocchiale o di un singolo, o ci sono dei «paletti» da fissare, delle attenzioni da mantenere? «L’obiettivo di fondo», spiega don Luca Peyron, responsabile dell’equipe che ha messo a punto il Vademecum, «è quello di richiamare l’attenzione sul fatto che il digitale sia uno strumento e come tale vada calibrato, non è l’unica strada da percorrere, non è la risoluzione di tutto. Aiuta il sacerdote a entrare in contatto con i fedeli, ma non basta comparire sui social per guidare e accompagnare una comunità. Ci va il contenuto, non il personalismo…».
Ed ecco così 8 indicazioni che sviluppano questa impostazione che accredita il digitale ma al tempo stesso mette in guardia dai rischi, «abbiamo pensato di articolarlo in 8 punti che abbiamo ricondotto alle 8 beatitudini», prosegue don Peyron perché in questo tempo di tristezza è importante anzitutto ricordare che la gioia cristiana passa attraverso le fatiche dell’umano, che il particolare cammino verso la Pasqua che stiamo vivendo è comunque un cammino verso la gioia della Resurrezione ed è questo l’orizzonte, il cuore dei nostri sforzi, dei nostri obiettivi, la cartina di tornasole con cui leggere il nostro cammino. Cerchiamo la beatitudine, piuttosto che una presunta allegrezza digitale che taciti l’ansia di questo tempo incerto…».
Ma quali sono gli spunti principali sui quali si vuole far riflettere? Tra gli altri, un’attenzione alla questione della preghiera e in particolare della celebrazione eucaristica: «Se la Messa in diretta facebook si mischia sul device dei fedeli con i meme sciocchi, le battute grevi, i video pubblicitari chiediamoci quale tipo di servizio viene offerto alla nostra gente. Celebrando l’Eucarestia in chiesa, abbiamo davanti a noi il popolo, in tutte le età della vita. Celebrando on line potremmo avere davanti qualcuno che passa scrollando le spalle, o meglio un dito sullo schermo. Alcuni apprezzeranno, ma gli altri che incontrano per caso la celebrazione tra un post e l’altro non rimarranno confusi? La liturgia non ha spettatori, non può averne: usare strumenti che funzionano in modo tale da creare spettacolo, come alcuni social media in modo particolare, rischia di essere controproducente». Analoga riflessione sull’Adorazione eucaristica come «un tesoro da custodire» che rischia di essere svilito o esposto ad atteggiamenti ben lontani dal rispetto. E ancora: «Se pensiamo che sia pastoralmente necessario trasmettere la Messa, considerando che già esiste un’offerta istituzionale significativa, usiamo piuttosto youtube o altre piattaforme video, in cui ci trova chi ci cerca, non chi naviga per caso». Non manca poi un richiamo a vigilare sulla dipendenza dal mezzo che può avere come conseguenza il ridurre il tempo e il concetto della preghiera alla navigazione sui social, dimenticando quella dimensione che si può custodire, dimenticando che pregare non è assistere a una preghiera, dimenticando la dimensione del silenzio, degli interrogativi, delle domande, del dialogo, dei «moti del cuore» che sgorgano nel raccoglimento difficile da vivere con uno smartphone in mano.
Uscendo dalle prassi propriamente liturgiche serve attenzione anche a come la rete ci condiziona: «Il web», prosegue il vademecum, «è un luogo dove sempre di più attingiamo per maturare la nostra identità esteriore ed interiore andando in cerca di sicurezza, con l’illusione di poter attingere a tutti i saperi e con essi gestire la nostra vita. L’epidemia acuisce questo bisogno che sfocia in ricerca convulsa di conferme, nella speranza di poter fare delle autodiagnosi o di capire cosa dove stiamo andando. Capita in questi giorni con maggiore frequenza di percepirsi come dis‐conessi dal proprio mondo interno, cioè in difficoltà nel dare nome alle nostre emozioni mentre assorbiamo continuamente informazioni on line. Nel caos pandemico abitiamo il caos informazionale, immersi in un habitat che ci smarrisce fingendo di rassicurarci. Dobbiamo essere consapevoli che la relazione con le fonti digitali del sapere è indiretta, manipolata per fini ideologici, economici, pseudoculturali e molto spesso non tracciabili, si chiamano bolle di filtraggio. Questi sistemi rinforzano le nostre credenze ed opinioni, piuttosto che fornirci dati alternativi e differenti. In questo tempo di paure rafforzeranno le nostre paure. La nostra fame e sete di giustizia può e deve passare allora da un sano discernimento e, soprattutto, attraverso l’intelligenza di chi cerca la fonte della verità. Il tempo che ci è dato può diventare tempo propizio per selezionare siti e tenerli tra i preferiti, per scoprire e far scoprire fonti affidabili a cui attingere oggi e domani. Nel tempo in cui sembra di essere privati della nostra libertà, possiamo acquisire nuovamente la libertà di scegliere e di gustare le nostre scelte».
Indicazioni su cui riflettere «non certo per demonizzare la realtà dei social», conclude don Peyron, «ma per sfruttarla al meglio. Tutti sembrano concentrati sulle celebrazioni eucaristiche e sembra sia l’unica modalità per coinvolgere i fedeli, ma proposte per la preghiera (da vivere poi ‘sconnessi’), riflessioni, catechesi, ci sono tanti materiali interessanti che la creatività unita al mezzo rendono fruibili, piuttosto su questi è utile investire. Dalla pandemia all’infodemia non cadiamo nella liturgodemia».
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