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Leone XIV alla Cei. Don Peyron: “L’intelligenza artificiale interroga la fede, serve un’antropologia profetica"


Dopo il discorso di Leone XIV ai vescovi italiani, don Luca Peyron riflette sull’urgenza di un’antropologia teologica per abitare l’epoca digitale. “Non basta l’etica: occorre profezia. La fede ha ancora molto da dire all’umano smarrito tra algoritmi e solitudini”

“La fede ha ancora una pertinenza con la vita”. Don Luca Peyron, sacerdote torinese e teologo esperto di cultura digitale, commenta uno dei passaggi più densi del discorso rivolto da Papa Leone XIV ai vescovi italiani: quello sull’antropologia e sulle sfide poste dall’intelligenza artificiale. Un intervento, afferma, “profetico e non di circostanza”, che rilancia la missione della Chiesa in un tempo segnato dalla tecnocrazia. “La sfida – dice – è pensare cristianamente il nostro tempo, per custodire e annunciare la dignità della persona come creatura e mistero”.

Nel suo discorso alla Cei, Leone XIV ha detto che “la persona non è un sistema di algoritmi: è creatura, relazione, mistero”. Come interpreta questo passaggio?
Non è un invito formale, ma una scelta sostanziale. Non è un discorso di circostanza. Il Papa desidera che questo tema entri nel cuore della riflessione delle Chiese, non solo di quella italiana. Fin dall’inizio del suo ministero ha posto l’intelligenza artificiale tra i segni dei tempi. Leone XIV non parla solo di tecnologia, ma intreccia pastorale e antropologia. Quando insegniamo il catechismo ai bambini, ci rivolgiamo a nativi digitali. Quando parliamo di carità, dobbiamo tenere conto anche del divario esistenziale generato dai social media. E quando diciamo “salvare”, i nostri contemporanei pensano a un file. Tutto questo ci lascia pensosi.

Quindi non basta un’etica della tecnologia. Serve altro?
Esatto. Non possiamo limitarci a fornire criteri per governare le tecnologie. Dobbiamo offrire un’antropologia profonda, che sia guida e profezia. Non basta dire “attenzione, ci sono dei rischi”. Siamo chiamati a indicare un orizzonte di senso e una meta per l’umanità immersa nel digitale.

In questo discorso si intravede una sintesi dei Papi precedenti?
Mi pare evidente. Leone XIV prosegue il cammino di Francesco e, per certi aspetti, recupera intuizioni di Benedetto e Paolo VI. Ciò che emerge è un’antropologia cristologicamente fondata: il punto di incontro autentico con il mondo. L’umanità di Cristo è un patrimonio condivisibile anche da chi non ne riconosce la divinità. E non si può spezzare Cristo: annunciando la sua umanità, annunciamo tutto il Vangelo.

Perché Leone ha scelto proprio la Cei come prima Conferenza episcopale a cui rivolgere questo appello?
Credo sia una sorta di “sperimentazione pastorale”. È vescovo di Roma e ha scelto la sua Conferenza episcopale per rilanciare un tema già affidato da Francesco a università cattoliche e diocesi. Ma ora è evidente a chiunque che è tempo di agire. Serve animare un dibattito culturale che abbia un’anima: l’antropologia teologica, centrata su Cristo.

Quali ricadute vede sul piano pastorale?
La ricaduta è enorme. Ogni battezzato che rende ragione della sua fede è invitato a ripensare la propria testimonianza. Non possiamo semplicemente adattare il noto al nuovo. Serve rivisitare Scrittura e Tradizione affinché lo Spirito ci suggerisca elementi utili a discernere e guidare il tempo attuale.

Ha un esempio concreto?
Nel Vangelo di Matteo, Gesù è definito “facitore di tecnologia”. Non è un dettaglio. È un titolo cristologico, che per secoli non abbiamo granché esplorato. Se oggi una macchina imita l’umano, allora quel titolo acquista un peso nuovo. I Vangeli contengono tesori che parlano ad ogni stagione culturale.

Quindi non si tratta di aggiornare l’esistente, ma di avviare una nuova esplorazione?
Proprio così. Non dobbiamo fare la glossa di ciò che è già stato detto, ma riprendere la Scrittura con occhi nuovi. Non è questione di colpe o mancanze, ma di un novum che chiede di essere scoperto.

Serve anche un cambio di mentalità nel modo di fare pastorale?
Dobbiamo uscire dalla logica del “cercare colpevoli” per ciò che non ha funzionato. Non è tempo di nostalgie, ma di profezie. E oggi manca profezia. Non ci sono più profeti né di ventura né di sventura. La Chiesa ha una responsabilità storica rinnovata: offrire parole e gesti che ridicano la pienezza dell’umano a un umano smarrito e in cerca di identità.

La Chiesa può ancora incidere nella vita quotidiana delle persone?
Abbiamo davanti ogni settimana centinaia di persone. Non dobbiamo fare lezioni di intelligenza artificiale, ma annunciare Gesù Cristo. Ma Cristo è oggi, in questo tempo. La preparazione di chi fa pastorale deve nutrire il popolo di Dio con conoscenza e profezia. C’è in gioco la libertà, le relazioni, la solitudine. La fede. La pastorale della cultura non è per intellettuali: è soprattutto per le persone semplici, troppo spesso in balia dei titoli “acchiappa-click”.

Cosa risponde a chi dice che la Chiesa è sempre in ritardo su scienza e tecnologia?
È un mito da sfatare. La Chiesa ha duemila anni di storia. Solo in pochi secoli ed in alcune circostanze ci siamo arroccati. Per il resto ha generato cultura, scienza e tecnologia. Dall’irrigazione nelle missioni in Africa al Big Bang di Le Maître, prete e cosmologo. L’idea stessa di progresso è figlia del cristianesimo. La cultura precristiana era ciclica. Noi abbiamo introdotto la parola “compimento”. Un cammino, un pellegrinaggio, una crescita. Oggi è il momento di riconsegnarlo al mondo.

Qual è, in definitiva, la sfida più urgente per la Chiesa?
Oggi abbiamo una nuova possibilità di mostrare che la fede ha una pertinenza reale con la vita. Perché la vita interroga profondamente la fede cristiana: ci chiede incarnazione e redenzione, corpo e metafisica. Nell’epoca delle macchine e della virtualità digitale, Cristo resta l’orizzonte in cui l’umano può ancora compiersi pienamente. Qui e nell’eternità.

Qui il post originale

Voci dalle cupole: intervista a don Luca Peyron


È trascorso un lustro da quando PLANit ha iniziato a far ascoltare le voci che arrivano dalle cupole. Sono quelle degli operatori museali, degli astronomi e dei planetaristi che hanno raccontato le loro esperienze. 

Il protagonista di questa nuova puntata della serie “Voci dalle cupole” è Don Luca Peyron, “sacerdote astronomo” della Diocesi di Torino dal 2007. Prima del 2007 svolgeva attività accademica e professionale nel campo del diritto industriale. La sua doppia preparazione, in giurisprudenza e teologia pastorale, ora si incontra con compiti assai diversi che vanno dall’insegnamento della teologia negli atenei al fare il cappellano universitario, sino al parroco. Il suo contributo alla riflessione rispetto alla cultura digitale è diventato sempre più conosciuto e importante: ha fondato il Servizio per l’Apostolato Digitale ed è stato il primo promotore della Fondazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, che oggi ha sede a Torino. Un impegno a 360° per tenere insieme fede, scienza e tecnica.

Vi invitiamo ad ascoltare la sua testimonianza, certamente molto originale, nel video che è stato realizzato da Gian Nicola Cabizza insieme a Loris Ramponi.

Qui l'intervista completa e il post originale

Don Luca Peyron: "Con l'AI democrazia a rischio"

 Intervista al teologo e professore della teologia della trasformazione digitale alla Cattolica di Milano: "L’intelligenza artificiale è uno strumento di potere e uno strumento d'ordine, che diventa significativo in mano a pochissimi soggetti"

Un simpatico post su Linkedin che parla dei primi tre giorni del Papa che coincidono con i temi che sta portando avanti già da qualche anno: “Ma resto umile…”. Don Luca Peyron è teologo e ironico, più che altro entrambe le cose insieme, ma si fa serissimo quando avverte come l’intelligenza artificiale sia un tema che la Chiesa deve affrontare con velocità e impegno: “Francesco per fortuna aveva già cominciato a parlarne, Leone XIV darà sicuramente continuità. Il fatto che abbia detto che la scelta del suo nome in buona parte arrivi da questo aspetto, è uno sprone per darsi da fare di più”.

Don Luca di AI ne parla da anni, è professore della teologia della trasformazione digitale alla Cattolica di Milano, nonché direttore della Pastorale Universitaria a Torin e coordinatore del servizio per l’apostolato digitale: “A 23 anni, mi sono occupato tra i primi in Italia del rapporto tra internet e diritto: i grandi nomi del settore non sapevano neppure accendere un computer, così come oggi non sanno bene come maneggiare l'intelligenza artificiale. Poi, quando ho preso i voti, Monsignor Giuliodori mi chiese di assumere la cattedra universitaria. Il servizio ecclesiale nasce poi nel 2019 per provare a capire cosa stia accadendo sulle tecnologie emergenti”.

Come affrontare dunque il tema IA legato alla fede?

“Ad intra rispetto all'annuncio del Vangelo e ad extra rispetto al dialogo con il mondo. Per questo sono stato anche il promotore della fondazione italiana per intelligenza artificiale applicata alle industrie, che lavora a Torino per conto del governo”.

Cosa c’entra la Bibbia con l’intelligenza artificiale?

“C’entra, ma bisogna fare dei passaggi: si tratta innanzitutto di una locuzione scivolosa che significa tante cose. Quello che è certo è che l'IA non è più uno strumento, ma è una cultura. Una modalità di esercizio di un certo tipo di tecnologia che è sempre più il modo con cui noi leggiamo la realtà e noi stessi”.

E qual è il pericolo?

“Faccio un esempio: la macchina quando è efficiente, efficace e veloce viene considerata buona. Se io traspongo questo criterio alle persone, solo una persona efficiente, efficace e veloce diventa buona. E questo crea un'ansia da prestazione permanente, soprattutto nei giovani”.

Il rischio è di sentirsi inadeguati.

“Esatto. Poi c’è il fatto che la macchina non solo imita piuttosto bene, ma spesso va oltre l'umano in alcune funzioni. Se io smetto di esercitare il mio controllo la realtà diventa mediocre statistica. E se smetto di pensare perché una macchina lo fa per me, sarò ancora capace di avere un pensiero critico?”.

E quindi è cultura a senso unico.

“È l'effetto IKEA: io ho mangiato nel seggiolone da bambini di paglia in cui ha mangiato mia madre, mia nonna, la mia bisnonna. I miei nipoti hanno mangiato su un seggiolone di plastica: è molto più comodo, però le nostre case rischiano di diventare identiche. E la democrazia è a rischio”.

In che senso?

“L’intelligenza artificiale è uno strumento di potere e uno strumento d'ordine, che diventa significativo in mano a pochissimi soggetti. Se con gli algoritmi sposto il consenso e solo quattro persone al mondo decidono come dobbiamo vestire o quale seggiolone comprare, non è lo Skynet di Terminator ma poco ci manca”.

Torniamo alla Bibbia…

“Il cristianesimo si fonda su tre idee fondamentali: che Dio esiste ed è padre figlio e Spirito Santo, che Dio si è incarnato, e che Cristo è risorto. Significa che l'essere umano nel momento in cui Cristo ne assume la carne, assume una dignità che già in parte aveva perché immagine e somiglianza di Dio. Ma nel momento in cui Dio stesso ne assume la carne, assume una dignità divina”.

Quindi?

“Per i cristiani tutto ciò che autenticamente umano, è autenticamente divino e divinizzabile. E’ il punto di incontro tra il cristianesimo e chiunque altro: perseguire l'autenticità e la pienezza dell'umano è l'obiettivo in cui si può riconoscere anche chi non crede. La Bibbia come codice di lettura antropologica della convivenza sociale diventa un mezzo per decodificare anche la cultura derivata dell'intelligenza artificiale, e non solo per i credenti. Questo è il nesso di fondo”.

C’è il pericolo che l’IA possa trasformarsi in una specie di religione?

“Un esempio: se Zuckerberg dicesse che lui può risolvere il problema della solitudine dando un bot con cui parlare, crea solo un'illusione. Deumanizza, perché parlare con una macchina, e al di là dei dati che consegno al caro Zuck, non tira fuori l'umano che sono”.

Quindi?

“Quindi non è un pericolo: sta già succedendo. Se ascrivo alla macchina una posizione di partner umano, addirittura di oracolo, ne faccio realmente un idolo, cioè uno strumento di salvezza. E chiudo il cerchio dell'involuzione umana”.

Qual è l’antidoto?

“Capire che la macchina, al massimo, può trasferire una parola che informa, che non è quella che performa strutturante la Parola di Dio. Se penso con l’IA di parlare con Padre Pio o Gesù Cristo, mi accontento di una roba che non è un solo po' meno, ma è proprio un'altra cosa. Un inganno”.

E si annulla il valore della confessione.

“Una macchina può essere un oracolo che mi aiuta a stare in certe regole. Però l'incontro con la Misericordia di Dio non è andare a chiedere al prete se quello che ho fatto è peccato o no. Gesù diceva ai farisei: passate la vita a fare leggi, ma con Dio non avete un rapporto”

È difficile spiegare questo ai giovani oggi?

“No. Quest’anno ne ho già fatto 94 conferenze nelle scuole o in università: i ragazzi sono nativamente consapevoli. Il difficile è il passo successivo: come faccio a non essere digitale? Qualcuno mi risponde: se è una cosa legale è giusto farla. Io però faccio notare che anche Hitler è salito legalmente al potere”.

Cosa può fare allora il Pontefice?

Papa Francesco ha sostenuto chi provava a capire qualcosa di questi temi quando c’era chi mi chiedeva se fossi un impallinato. Ora è chiaro che l’IA riguardi la Chiesa, che non è uno strumento ma una postura esistenziale.

Il rischio di monopolio assoluto può essere scalfito non con le leggi, ma grazie a un'opinione pubblica consapevole senza la quale non saremmo più liberi, Ecco: il Papa può permettere anche le persone più semplici di rendersi conto che questa non sia una questione marginale. Ma un cammino verso una democrazia più compiuta”.

Leone XIV. Don Peyron: “Sull’intelligenza artificiale desidera lavorare insieme a tutti noi”

 Prevost “è un uomo con una grande spiritualità ed una preparazione alla spalle di tutto rispetto” ma fin da subito ha anche dimostrato di essere “così tanto capace di leggere i segni dei tempi e desideri esserci immerso. Azione e contemplazione, una sintesi molto bella”, nota il sacerdote torinese, fondatore e coordinatore del Servizio per l’apostolato digitale. “Siamo carenti di scienza e di una cultura capaci di governare quanto accade. Anche di teologia e filosofia appropriate”, osserva: “Abbiamo bisogno di densità più che di velocità”

Sono già numerosi gli spunti offerti da Leone XIV nei primi discorsi pronunciati nei primi quattro giorni di Pontificato: pace, sinodalità, evoluzione tecnologica, giovani… Nella scelta del nome, Papa Prevost ha spiegato lui stesso che vuole mettersi nel solco del Pontefice della Rerum Novarum “per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale”. Poi, incontrando i rappresentanti dei media convenuti a Roma per il Conclave, è tornato di nuovo sul tema dell’intelligenza artificiale parlando del “suo potenziale immenso” e della necessità di “responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti, così che possano produrre benefici per l’umanità”. Ne parliamo con don Luca Peyron, sacerdote dell’arcidiocesi di Torino con alle spalle un’esperienza accademica e professionale nell’ambito del diritto industriale, direttore della Pastorale universitaria diocesana e regionale nonché fondatore e coordinatore del Servizio per l’apostolato digitale che è uno dei primi servizi a livello globale della Chiesa cattolica con il compito di riflettere, progettare e agire rispetto alla cultura digitale in una prospettiva di fede.

Don Peyron, quelle di Papa Leone immagino siano parole che le abbiano fatto più che piacere e che ora chiedono un rinnovato impegno…
Mi hanno toccato due aspetti. Il primo che abbia voluto spiegare la scelta innanzitutto al collegio dei cardinali, coloro che per primi condividono con lui la grande responsabilità di governare la Chiesa e guidare il popolo di Dio. Segno che su questo tema desidera lavorare insieme a tutti noi. Una sinodalità reale.

Il secondo aspetto che mi ha toccato è che

un uomo con una grande spiritualità ed una preparazione alla spalle di tutto rispetto sia anche così tanto capace di leggere i segni dei tempi e desideri esserci immerso. Azione e contemplazione, una sintesi molto bella. Ed un invito per chiunque.

Su cui, almeno in queste prime ore del suo Pontificato, continua a tornare, così come sul tema della pace. Siamo, per dirla ancora con Francesco, in un cambiamento d’epoca in cui ci giochiamo moltissimo.

Sempre rivolgendosi ai cardinali, due giorni dopo l’elezione, il Papa ha evidenziato l’esigenza della “creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto. E guardando all’evoluzione tecnologica, questa missione diventa ancora più necessaria”. Con che animo ha accolto queste parole? Non siamo all’anno zero in questo ambito, in che cosa serve accelerare?

Non credo sia necessario accelerare, piuttosto il contrario, rallentare, non nei processi tecnologici, ma nel tempo che ci diamo per rifletterci sopra.

La tecnica va oggi molto veloce, ma la scienza non è al passo, non precede per forza di cose la tecnica.Siamo carenti di scienza e di una cultura capaci di governare quanto accade. Anche di teologia e filosofia appropriate. Abbiamo bisogno di densità più che di velocità.

Tale densità si può raggiungere se le migliori forze che abbiamo si applicano e si mettono insieme. Penso ad esempio al progetto “La Chiesa ti ascolta” nato dal Sinodo, una presenza nel continente digitale di tanti missionari e missionarie digitali che abitano la rete con amore e con spirito di servizio. Le parole di Leone ci aiutano a sentirci ancora di più con la Chiesa e nella Chiesa. Le parole forti e miti di Papa Prevost creeranno ancora di più queste condizioni. Questo mi rende felice perché non siamo oggi in molti nella Chiesa ad occuparci di questi temi, saremo di più e saranno i migliori. Certamente migliori di me e questo mi consola tanto.

Nel suo primo Regina Caeli, Leone XIV ha invitato i giovani ha esortato i giovani: “Non abbiate paura! Accettate l’invito della Chiesa e di Cristo Signore!”. Da cappellano universitario Lei ha a che fare con molti giovani. Cosa chiedono alla Chiesa? In che modo possono essere più coinvolti?
Papa Leone ha invitato i giovani a non avere paura di accogliere la vocazione che il Signore propone loro, a non tacitare il desiderio più grande che hanno nel cuore e forse neppure sanno di avere. Per quel che capisco

i giovani chiedono ai cristiani adulti di essere loro compagni di strada in questa ricerca e, soprattutto, di essere credibili testimoni che un sì detto a Dio riempie il cuore di gioia e non ti consegna ad una vita depressa e fatta di rivendicazioni.

Papa Francesco diceva Evagelii Gaudium, possiamo parafrasare con gaudium vocationis. A cui dare spazio concreto nella vita della Chiesa.

Lei è in queste settimane in libreria con il suo ultimo volume “Sconfinato”, per i tipi di Edizioni Sanpaolo. A cosa allude il titolo e come si colloca in questo tempo della Chiesa?
Sconfinato è il racconto di tante notti trascorse a contemplare il cielo stellato con l’uso di un telescopio in accoglienza di una bellezza nascosta che ci può aiutare a smettere di nasconderci, a scoprire il bello che ci abita. Il cielo sconfina e se solo ce ne rendessimo conto di più la terra sarebbe un posto diverso, il nostro cuore e la nostra vita sarebbero diversi. A partire dallo stesso Gesù, lo sconfinato per eccellenza: incarnato, esule, ucciso fuori delle mura, risorto e che si aspetta sull’altra riva. Nella mia piccola esperienza pastorale sempre di più sento l’esigenza di mostrare la pertinenza della fede con la vita, della scienza con il credere, della Scrittura con il tempo che viviamo.

Passando per l’astronomia che è una scienza che meravigliosamente ci mostra che le notti non sono buie e restituendo così speranza al nostro andare. Passando per l’intelligenza artificiale che è una grande provocazione alla nostra vocazione umana.

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Il Papa e l’Ai, un’altra Rerum per non idolatrare la tecnologia


Sabato, incontrando i cardinali, il pontefice Prevost ha chiarito la continuità con Leone XIII: affrontare una nuova rivoluzione industriale, stavolta digitale, con gli strumenti della Dottrina sociale. Ne abbiamo parlato con don Luca Peyron, sacerdote torinese, a capo dell'Apostolato digitale della sua arcidiocesi, docente della Cattolica, membro della Fondazione per l'intelligenza artificiale

«Comunque vorrei far notare che il Papa il primo giorno di pontificato ha parlato di Madonna di Pompei (di cui sono parroco), il secondo di tecnologia e missione (e coordino il servizio per l’Apostolato digitale) ed il terzo che ha scelto il nome Leone pensando all’intelligenza artificiale (di cui mi occupo con la Fondazione per l’Intelligenza Artificiale di Torino). Ma resto umile :-)».

Aldilà dell’ironia, davvero preziosa in chi fa il prete, Luca Peyron, torinese, classe 1973, in questo post sul suo profilo LinkedIn di sabato scorso, è davvero umile, perché già nel 2019 organizzava Rerum Futura, un millennials digital labo, in cui, si leggeva nel programma, «gli studenti universitari possono unirsi in modalità interdisciplinare per applicare le loro conoscenze alla risoluzione di problemi sociali, e in questo compito possono lavorare fianco a fianco con giovani di altre Chiese o di altre religioni». E, ovviamente si parlava anche delle sfide che la transizione digitale, Ai compresa, poneva in termini di equità, accesso, tutele dei diritti. 

Peyron, che insegna alla Cattolica di Milano, ha da poco portato in libreria SconfinatoNuove cronache di cieli sereni (edizioni San Paolo), incentrato sul rapporto tra fede, scienza, speranza e vita.

Don Peyron, il Papa in uno dei suoi primi discorsi, ha appunto fatto un riferimento esplicito al legame tra la scelta del suo nome, Leone XIV, con il pontefice della Rerum Novarum, Leone XIII, “inventore” della Dottrina sociale della Chiesa, che parlò al mondo nel pieno di una Rivoluzione industriale. Oggi la Chiesa, nel pieno di un’altra rivoluzione, quella dell’Ai, offre all’umanità i suoi insegnamenti. Lei ha appena scritto un libro su fede e scienza, ci aiuta a capirne la portata della scelta del nuovo Papa?

È una scelta indubbiamente molto forte.

Perché?

Perché il nome per un Papa non è un vezzo, è il primo indicatore del suo sguardo e della sua sensibilità, del continuum che desidera custodire e rilanciare. Possiamo dire che è il modus con cui ritiene di interpretare il mandato petrino, il presiedere nella carità le Chiese e dunque la Chiesa universale.

Questo riferimento dritto all’intelligenza artificiale, alla tecnologia?

Già papa Francesco si è occupato di Ai in un crescendo di interventi diversi. Il fatto che per Leone sia uno dei fattori più significativi dice, per un verso, che l’intelligenza artificiale è sempre di più il fattore chiave del tempo che viviamo e dall’altro che essa incide su tutti gli aspetti della vita. Lei ha citato il mio libro Sconfinato: è un diario di viaggio in cui, attraverso l’osservazione del cielo, fatta usando tecnologia, si può scoprire un viaggio altrettanto importante dentro se stessi. La tesi di fondo è che se ci accorgessimo che il cielo sconfina con bellezza sulla terra vivremmo molto meglio la terra e le nostre relazioni. Credo che analoghe considerazioni potremmo farle per l’intelligenza artificiale. Il portato della Bibbia, il codice dei codici, può aiutarci a vivere pienamente e con speranza questo tratto della storia così tanto segnato dal codice delle macchine.

Parlando di un’umanità senza Cristo, Leone ha detto che ricade nel piacere, nel potere e ha citato anche la tecnologia. Anzi la mette proprio per prima: «Si preferiscono tecnologia, denaro, successo, potere, piacere». A quale rischio si riferisce, secondo lei?

Il rischio è quello di una escatologia tecnologica, di una sorta di idolatria della macchina, di una delega all’oggetto di quanto è proprio del soggetto. Un esempio ci può aiutare a comprendere. Di recente Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Meta, ha dichiarato che viviamo in un mondo in cui le persone non hanno amici. La sua soluzione alla solitudine dei nostri contemporanei è quella di chattare con un bot.

La soluzione della Chiesa?

Guardi, Cristo ci riporta all’autenticità dell’umano, che è relazione, generazione, fragilità e comunione. Il silicio del digitale serve, certo. Ma non serve se asserve disumanizzandoci.

E l’Ai?

L’intelligenza artificiale è una tecnologia che conferisce particolare potere e poteri. È un forte strumento di ordine e considerando che, veicolata dai nostri smartphone, abita buona parte della nostra vita, può essere utilizzata per ulteriormente polarizzare, scavare fossati, creare ingiustizie. Già un tempo si disse che l’homo sapiens è diventato homo ludens, oggi homo videns. L’accento di papa Leone è sul fatto che l’essere umano non diventi incapace di pensare. Dunque di scegliere, dunque di essere libero.

Questo è un pontefice missionario, l’Ai potrebbe anche essere uno strumento di nuova evangelizzazione e promozione umana? 

Certamente. Può essere un mezzo di promozione umana nella misura in cui càpacita l’umano, è strumento di giustizia, permette un migliore perseguimento del bene comune. Che sia strumento di annuncio in sé e per sé mi pare più difficile. Il digitale lo è, l’intelligenza artificiale in sé mi pare meno evidente.

Perché?

Perché l’evangelizzazione è in definitiva, la trasmissione di una passione per l’incontro con la persona di Cristo. Non è la trasmissione di una informazione, ma di una esperienza esistenziale. Ha bisogno di carne e sangue più che di computazione ed esattezza numerica. L’amore si mostra, non si dimostra con formule algebriche. L’intelligenza artificiale non può fare tutto. Ma è una buona notizia.

Sottoscrivo. Senta, ma qualcuno paventa già rischi di oscurantismo: «I soliti cristiani timorosi del nuovo». Come risponde?

È un rischio vero, perché navighiamo tutti tra Scilla e Cariddi, tra entusiasmo cieco e paura irrazionale. Il timore dei cristiani non è nel nuovo, ma nel sin troppo vecchio umano. La tecnologia in sé è un concetto, l’intelligenza artificiale quasi uno slogan. Esistono invece i sistemi di intelligenza artificiale progettati, usati ed applicati da persone concrete. Quelle stesse che ieri ed oggi, chissà domani, sono segnate da egoismo, paura, chiusure, divisioni. I cristiani temono il male, papa Prevost ha cominciato il suo ministero dicendo però che il Male è stato sconfitto alla radice. I cristiani, e non solo loro, dovrebbero guardarsi dal male anche nel silicio. E poi, certamente, puntare al bene, al bene maggiore. Mi si lasci chiosare dicendo che i cristiani autentici non sono pessimisti, non possono esserlo, perché Cristo è risorto. Un cristiano che sia oscurantista sul serio, non tacciato di esserlo, forse tanto cristiano non è.

È un caso che diversi religiosi, tra cui lei e padre Paolo Benanti, siate apprezzati esperti di questa materia?

Mi fa sorridere il fatto che Paolo ed io ci siamo conosciuti a Torino in occasione di una iniziativa organizzata cinque anni il cui titolo era Rerum Futura, facendo il verso proprio alla Rerum Novarum di Leone XIII. Lo Spirito Santo ama giocare anche con le parole. Alcuni tra noi, come padre Benanti che lei cita, sono studiosi apprezzati che portano un contributo importante. Io mi limito a fare divulgazione.

Lei continua a restare umile, come diceva il post di Linkedin…

Credo che una formazione teologica possa essere oggi a servizio del mondo proprio perché l’intelligenza artificiale è una ambiente ed una cultura che tocca l’umano. Vorrei aggiungere una cosa…

Prego.

Che la Santa Sede, rispetto ad altre istituzioni, ha un grande vantaggio che oggi può essere a servizio di tutta l’umanità. Il Papa, ormai tra i pochi, può convocare il meglio del mondo per dialogare e costruire un pensiero solido e provato che aiuti tutti ad avere e prendere una direzione autenticamente umana. La parola “chiesa”, in greco, significa comunità radunata. La Chiesa radunata può radunare, per un futuro, come amava dire papa Francesco, umano. Con le macchine, ma a servizio della vocazione umana. Di tutti, ovunque.


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Il trumpismo dilaga nei social network che tolgono le protezioni anti fake news. La libertà ha un prezzo

Dopo X anche Facebook e Instagram eliminano le protezioni anti fake news in nome della libertà d’espressione. Il “trumpismo” dilaga. Ne parliamo con due esperti, don Luca Peyron (Torino) e Giovanni Tridente



La storia del rapporto – non sempre specchiato per dirla con un eufemismo – tra social media e politica passa tra due post pubblicati esattamente a quattro anni di distanza l’uno dall’altro nella stessa pagina: quella del fondatore di Facebook Mark Zuckerberg. Il primo post, datato 7 gennaio 2021, arriva all’indomani del tentato colpo di stato a Capitol Hill, con l’invasione del Congresso americano a Washington. «Negli ultimi anni – scriveva – abbiamo permesso al presidente Trump di usare la nostra piattaforma secondo le nostre regole, a volte rimuovendo contenuti o etichettando i suoi post quando violavano le nostre policy. Ora il contesto è fondamentalmente differente», e ne annunciava il blocco. Il secondo post è del 7 gennaio 2025, all’indomani della – questa volta pacifica – certificazione dei risultati elettorali che vedranno Trump reinsediarsi alla Casa Bianca lunedì 20 gennaio. Si tratta di un video in cui Zuckerberg bacia la pantofola del trumpismo e si accoda alla filosofia del patrono di X fu Twitter Elon Musk, secondo il quale la libertà di espressione è un valore assoluto, anche a costo di ammettere hate speech (linguaggio d’odio), fake news (propaganda). Zuckerberg ha annunciato non solo che licenzierà i fact-checkers indipendenti (accusati di partigianeria politica), ma il loro rimpiazzo con un sistema di “note della comunità”, riferendosi espressamente a quelle implementate su X. In coda lo spostamento del team di moderazione per gli Stati Uniti dalla California democratica al Texas repubblicano e una promessa di lavorare con Trump per imporre ai governi in tutto il mondo la stessa libertà di espressione, scagliandosi anche contro le recenti regolamentazioni volute dall’Unione Europea a tutela dei cittadini. Di salto «sul carro del vincitore» scrive Gigio Rancilio su Avvenire. Se a novembre padre Paolo Benanti pubblicava Il crollo di Babele. Che fare dopo la fine del sogno di Internet?, ora sono le macerie stesse di quel sogno ad andare a fuoco. Ma già da oltre un decennio si parla dei pericoli del “feudalesimo digitale”, un cambio di paradigma rispetto al web decentrato delle origini e delle utopie degli anni Novanta, che vede pochi e potentissimi operatori privati gestire un potere economico – e anche politico – più grande persino degli Stati e delle comunità internazionali, rinunciare apertamente a ogni responsabilità sociale delle loro piattaforme, accettandone invece i guadagni e le influenze.
Don Luca Peyron, fondatore del Servizio per l’apostolato digitale dell’Arcidiocesi di Torino, non è sorpreso: «Il digitale è uno strumento di potere e va a braccetto con il potere». L’annuncio di Zuckerberg non è che l’ennesima dimostrazione di come i colossi tecnologici abbiano assunto una posizione dominante pressoché assoluta, grazie a scelte strategiche e geopolitiche che li hanno resi indispensabili. Tuttavia, don Peyron sottolinea una realtà ancora più inquietante: «Il re è talmente sicuro di sé da non avere più paura di dire di essere nudo». La convinzione che non ci siano alternative a queste piattaforme rischia di trasformarsi in una forma di sudditanza collettiva. Giovanni Tridente, docente alla Pontificia Università della Santa Croce, concorda sul fatto che il problema principale non sia la tecnologia in sé, ma l’impreparazione degli utenti. «Da quando esistono i social, ci siamo concentrati sui rischi e sui problemi, ma non ci siamo occupati di educare all’uso consapevole di questi strumenti». Questa carenza educativa, unita alla velocità con cui le piattaforme evolvono, ha creato un divario cognitivo che amplifica le disuguaglianze: da un lato, chi utilizza il digitale per crescere e innovare; dall’altro, chi rimane intrappolato in un flusso costante di contenuti superficiali. Secondo don Peyron, la chiave per uscire da questo circolo vizioso è riprendere in mano il concetto di responsabilità. «La libertà ha un prezzo. I nostri nonni lo sapevano bene, perché per ottenerla hanno sacrificato la vita. Oggi, invece, pretendiamo che sia gratis». Questa illusione di gratuità — alimentata da modelli di business che monetizzano i dati degli utenti — non solo mette a rischio la nostra autonomia, ma ci rende complici di un sistema che privilegia il profitto rispetto al bene comune. Tridente invita a non farsi distrarre dalle polemiche di facciata. «Il fine di Zuckerberg non è la libertà, ma il profitto. La storia delle sue aziende dimostra che cavalca qualunque filone sia economicamente vantaggioso». Questo non significa, però, arrendersi al pessimismo. Al contrario, Tridente propone un approccio costruttivo: «Dobbiamo alfabetizzarci rispetto a questi strumenti, sviluppando anticorpi educativi e comunità in cui discutere delle loro implicazioni. Non possiamo aspettarci che siano le piattaforme a risolvere i problemi che loro stesse hanno creato». Contro il feudalesimo digitale, conclude don Peyron, «abbiamo il dovere di mostrare ai giovani che altre strade sono possibili».
In un panorama a tinte fosche è possibile dare un segnale anche come cristiani
A ovest Zuckerberg e Musk alla corte di Trump. A est Tik Tok, i suoi algoritmi e il legame con Pechino. Al centro l’Europa, senza “campioni” digitali, senza Internet satellitare (per ora), ma con i suoi regolamenti per la protezione degli utenti che le Big Tech vorrebbero abbattere. All’uscita di Zuckerberg un portavoce della Commissione Europea ha ricordato che «la libertà di espressione è al centro del Digital Services Act (Dsa)», regolamento che contrasta i contenuti illegali. «Nessuna disposizione del Dsa obbliga gli intermediari online a rimuovere i contenuti leciti», precisa Bruxelles, ma è ovvio che il vero scontro sarà sui segreti degli algoritmi, in grado di “spingere” contenuti graditi e “nascondere” quelli sgraditi ai loro padroni e alle loro priorità. Sarà insomma più difficile contrastare forme di interventi per manovrare l’opinione pubblica, come quelli – denunciati dalla Corte Costituzionale rumena – che hanno fatto vincere il primo turno delle presidenziali – poi annullate – a una “sorpresa” filorussa, che hanno fatto anche tanto ricorso alla potenza dell’intelligenza artificiale? Per Giovanni Tridente la strada rimane quella della formazione: «L’Intelligenza artificiale è un’ottima opportunità per ridurre le disuguaglianze, non per aumentarle, se messa a disposizione di tutte le società, non solo di quelle avanzate. Ma si realizza solo anzitutto con la consapevolezza e poi con l’alfabetizzazione». Per don Luca Peyron, poi, i cristiani possono dare testimonianza di unità in un mondo frantumato: «Soprattutto su questi temi dobbiamo essere sempre più in comunione. Abbiamo bisogno della diversità dei carismi: è il segnale forte che ci sta dando papa Francesco. La parola sinodalità significa camminare insieme».
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FocusTALKS: Don Luca Peyron | La partita dell'AI


Scendere in campo: strategie, lavoro di squadra e una visione autenticamente umana, con macchine come alleate e non avversarie.

Come si scende in campo? Strategie, allenamenti, lavoro di squadra.

La posta in gioco è il presente e il futuro che vogliamo, senza decisioni a tavolino, ma solo in partita, ciascuno con un ruolo, e una visione. La migliore, quella che ci rende autenticamente umani, la vera medaglia da portare al collo.

Umano e macchina, alleati e non avversari.

Con Don Luca Peyron, presbitero e saggista

I protagonisti della III° Edizione del AI & VR Festival – Multiverse World 2024. Intervista a don Luca Peyron

 


𝗔𝗜 & 𝗩𝗥 𝗙𝗲𝘀𝘁𝗶𝘃𝗮𝗹 - 𝗠𝘂𝗹𝘁𝗶𝘃𝗲𝗿𝘀𝗲 𝗪𝗼𝗿𝗹𝗱 - 𝟮𝟬𝟮𝟰, manifestazione unica nel panorama italiano ed europeo con al centro le nuove tecnologie legate al mondo dell'intelligenza artificiale e della virtual reality.

L'evento è un'opportunità di confronto e dialogo tra i principali stakeholders e decision makers dal mondo delle istituzioni, delle imprese e delle università. Ideato e promosso dall'𝗔𝗡𝗚𝗜 - 𝗔𝘀𝘀𝗼𝗰𝗶𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗡𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲 𝗚𝗶𝗼𝘃𝗮𝗻𝗶 𝗜𝗻𝗻𝗼𝘃𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶

Don Peyron: "Tempo di nuove opportunità per Torino"

Don Luca Peyron, referente della Pastorale universitaria della diocesi di Torino e coordinatore del Servizio per l’Apostolato digitale, nel corso di un incontro organizzato dall’Unione Industriali di Torino ha lanciato un appello: "Tecnologia e umanità devono parlarsi. Torino ha grandi opportunità". 





La bellezza della notte di San Lorenzo: non solo stelle cadenti

Oggi alla Finestra del Papa ci siamo collegato con Parigi dove si stanno svolgendo i Giochi Olimpici e ne abbiamo parlato con Alessio Franchina, responsabile comunicazione e innovazione tecnologica del Centro Sportivo Italiano. E poi abbiamo spiegato insieme a Don Luca Peyron il significato della notte di San Lorenzo e cosa astonomicamente succede nei cieli in questo periodo dell'anno. Conduce Marina Tomarro

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L’intelligenza artificiale e l’economia di impatto Rischi e opportunità legati alla “nuova Internet”

Boella, docente e fondatore di Sipeia: “Una tecnologia energivora ma che può dare benefici all’ambiente. L’Italia delle Pmi svantaggiata rispetto alle grandi imprese che possono permettersi capitali e competenze”. 

Don Peyron: “Niente paura, ma è uno strumento che genera cultura dunque non neutrale. Va governato. Può aiutare il Terzo settore nelle sfide sulla solidarietà e l’inclusione”

Mentre a Torino dopo un lungo “stop and go” decolla la Fondazione AI4industry – il primo Centro per l’intelligenza artificiale in Italia che per ora il governo ha voluto concentrato su due missioni che sotto la Mole hanno terreno fertile: l’automotive e l’aerospazio – una serie di ricerche danno una misura di quanto valga questo nuovo settore dell’economia. Il rapporto Anitec-Assiform ha stimato il mercato italiano dell’AI nel 2023 in 570 milioni, destinati a diventare un 1,2 miliardi tra due anni. Briciole se si tiene conto che il valore di mercato mondiale dell’AI è di 135 miliardi. Ma è la crescita che fa ben sperare: gli esperti valutano una performance del 30 per cento l’anno. Marco Gay, presidente di Confindustria Piemonte – che invita a non parlare dell’AI come di una tecnologia d’avanguardia, semmai di un “futuro prossimo” – spiega il prossimo passo: entrare nelle filiere industriali. La “nuova Internet” sarà dunque un nuovo anello (fondamentale) dei processi produttivi.

Ma viene da chiedersi quale possa essere l’effetto dell’AI nell’economia di impatto. Guido Boella, docente all’Università di Torino e fondatore di SIpEIA, la Società italiana per l’etica dell’intelligenza artificiale, dice che «Di sicuro è una tecnologia che permette di ottimizzare molti aspetti della produzione. Dunque può aiutare le imprese nel rendere più efficiente il ciclo di lavorazioni. Con un risparmio di risorse energetiche e quindi benefici anche sul fronte ambientale». Ma subito precisa: «Per contro c’è un impatto negativo. L’AI oggi come oggi è una tecnologia energivora. Basta un piccolo esempio per darne un’idea: una domanda a chatGPT brucia l’energia che serve per la ricarica di uno smartphone. Due gli inconvenienti: il grande consumo di acqua e di energia. E spesso non si tratta di energia ricavata da fonti rinnovabili ma di origine fossile. La prova è nel recente record di consumi di carbone da parte della Cina. La speranza è che con l’evoluzione dei server e, in generale, dei processi che stanno dietro l’AI vada a ridursi il consumo di energia».

Molto dispendiosa è la fase di apprendimento dell’AI. ChatGPT è riuscita là dove altre aziende avevano fallito semplicemente puntando su una scala più grande. Che però vuol anche dire consumi più elevati. Ma è solo questione di tempo e poi si riuscirà a ridurre l’impatto energivoro dell’AI”. Quando, però, adesso come adesso è ancora un punto interrogativo.

Boella sottolinea un altro nodo, tutto italiano: «La spina dorsale della nostra economia è fatta da piccole e medie imprese. Proprio la dimensione piccola rende difficili i processi di digitalizzazione avanzata. Però ci sono strumenti pronti a supportare le Pmi. L’Unione Europea per esempio ha affiancato ai contributi a pioggia per sostenere le imprese verso l’intelligenza artificiale 250 European Digital Innovation Hub». In Italia sono 13 legati cofinanziati dall’UE e più di 20 collegati solo al PNRR. Questi sportelli unici – “One shop stop” – ricevono i soldi da Bruxelles e forniscono servizi gratuiti o agevolati a supporto nei processi di riqualificazione digitale. L’obiettivo finale dell’Europa è facilitare una doppia transizione: tecnologica e ecologica. Per inciso Boella sottolinea che il Piemonte in quanto a questo tipo di centri «è messo bene». Sono quattro in tutto: due gestiti da UniTo, e due dal Competence center CIM4.0.

Resta però da valutare l’aspetto sociale della “nuova Internet” come la definisce Gay. Può essere socialmente sostenibile? Boella intravede un rischio concreto: «Vista la scala di investimenti, si può arrivare a una disuguaglianza assai ampia tra le grandi aziende che possono permettersi capitali e competenze e il resto delle imprese». E non è finita: «Poi bisogna capire qual è l’impiego che si immagina dell’intelligenza artificiale: per affiancare i lavoratori che ci sono o per sostituirli? Perché se vince la seconda ipotesi ci troviamo di fronte a un taglio di posti di lavoro e dunque a costi sociali importanti da mettere in conto». Dinamiche di mercato che si possono applicare anche a un settore come quello della sanità. Ancora Boella: «L’AI viene impiegata per affiancare i medici, consentendo di migliorare le prestazioni o sarà utilizzata per sostituire i medici con delle macchine che fanno diagnosi?». E aggiunge: «Ma è un discorso che investe anche la cultura e l’informazione: l’intelligenza artificiale sfrutta per il suo lavoro articoli, saggi, libri coperti da copyright. Il rischio che i diritti dei lavoratori vengano abbassati è concreto. Ecco perché occorre un utilizzo consapevole e etico dell’intelligenza artificiale. Oltreché sicuro».

Don Luca Peyron, direttore dell’Apostolato digitale della diocesi di Torino e l’uomo che per primo ha lanciato l’idea di Torino capitale dell’intelligenza artificiale, dice che ai dibattiti ogni volta che si parla di intelligenza artificiale spunta l’elenco delle criticità. Tutti terribilmente spaventati da questo moderno Moloch. «Eppure è una tecnologia generale come l’elettricità o il motore a scoppio. Può essere utilizzata ovunque. La differenza è che è una tecnica che genera cultura. Dunque non neutrale. Ma non si tratta di dare disco verde o rosso al suo utilizzo». E che aiuto può dare al mondo del terzo settore? «Detto che non nasce con questo fine, imprese sociali e Terzo settore devono essere capaci di usarla al meglio per diffondere principi cardine come la solidarietà, l’inclusione, la difesa delle fragilità». Questione di algoritmi insomma. Dipende da come li educhiamo, cioè dai dati che gli diamo “da mangiare”.

Don Peyron aggiunge: «Il carico etico e valoriale è quello che fa la differenza anche dal punto di vista imprenditoriale. Se costruiamo macchine che non rendono l’uomo più contento di essere sé stesso saranno macchine che non comprerà nessuno. Ma tutto questo a patto che avvenga in un contesto in cui c’è democrazia. Oggi non è così: come hanno sottolineato alcuni giuristi, viviamo un periodo neofeudale dove la democrazia è sospesa perché in mano a poche grandi imprese che gestiscono le nuove tecnologie. Quindi bisogna prima sanare questo vulnus».


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Robots? They don’t scare the Church

For the Church it is not unknown terrain. Technology, such as Artificial Intelligence, has returned several times in the speeches of Pope Francis who, for the current Synod, wanted a project to bring the “synodal process” into digital environments. Thus was born “The Church listens to you”, which also includes Don Luca Peyron, 51 years old, director of the Digital Apostolate of Turin and advisor to the Humane Technology Lab (Htlab), the Catholic University’s laboratory on human experience and technology, who will be one of the speakers at the Turin Technology Biennale. He is subsequently expected at the Catholic University of Milan, on May 4, as part of the training and refresher course dedicated to artificial intelligence and pastoral communication promoted by the archdiocese of Milan.

Don Luca, speaking of artificial intelligence we talk about post-human. Is there a limit to the use of technology compared to humans?


«The human being is the crossroads of two fundamental tensions: the first is that of overcoming one’s limits, a healthy desire, which has always lived within us. At the same time the human being suffers from original sin which risks turning this desire into idolatry, that is, exceeding the “original” limit, a child who does not want to have fathers, a father, God. This dynamic has always run through history of the human. And it is no coincidence that technology has been used in many respects not as a driver of development but of oppression, almost always in its military version. From a research point of view, it would be wrong to set limits. From the point of view of the outcome of that research, the limit is human dignity, the entirety of the human as a creature.”


For theology, what are the positive things in the evolution of robotics? And the threats?


«Talking about advantages and threats places us in an either/or situation (either this or that). Catholic theology is always et/et (both this and that), because the Christological dynamic is a dynamic in which the human and the divine coexist in the same person. There is no such thing as positive and negative, black and white, right and wrong, threat, fear and on the other hand success. It is always an operation of continuous dynamics and discernment. The question is not whether the robot is a threat or an advantage, but with what purposes I build it.”


In addition to mechanics, the cognitive and emotional level for robots is also studied. Will we be able to talk about robot-people, about the dignity of robots?


“Absolutely not. The machine is an object, we cannot give it rights just because it becomes anthropomorphic. It does not feel emotions, has no self-awareness, can imitate some human functions, but is ontologically different from the human. From a phenomenological point of view we invent machines that resemble and imitate, but from an ontological point of view the difference is unbridgeable, they are machines and nothing more.”


But who decides where we want to go, who controls where we go?


«State control is a reasoning that adapts to nineteenth-century society. The problem is to develop a conscience and share information, wisdom and knowledge, an education that allows us, as partners, to look together towards certain horizons. Today the technological transition is governed by a few subjects, super monopolists, extremely rich and powerful, who direct people’s thinking with the algorithmic power of which they are capable. It is a great question of democracy, in the sense of government by the people who know what we are talking about. Therefore, at this moment in history, information that is not alarmist or enthusiastic, but formative, is fundamental, an ability to educate a shared human desire, a collective reformulation of the reasons why we are together. With a focused and informed public opinion, those who govern these processes will adapt to the market, because they are private companies.”


The Council spoke of the signs of the times. What sign is this technological revolution?


«It is the first time in the history of the Church that we are on track. The Synod is a demonstration of this, we are not unprepared. It is an ongoing process which is the subject of discernment and indications by the magisterium. And it matters because we live in a time when organized thinking is dead and governing the future is impossible. The fact that the Church offers the world its thoughts starting from its own code of reading reality, such as Scripture and ecclesial Tradition, is certainly good news for the Church, but also for the world as a whole” .


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I robot? Alla Chiesa non fanno paura

 

«Grazie all’ultimo Sinodo, che affronta i problemi legati alla nuova era digitale, noi cristiani siamo sul pezzo: possiamo contribuire a governare il progresso alla luce delle Scritture»


Per la Chiesa non è un terreno sconosciuto. La tecnologia, come l’Intelligenza artificiale, è tornata più volte nei discorsi di papa Francesco che, per il Sinodo in corso, ha voluto un progetto per portare il “processo sinodale” negli ambienti digitali. È nato così “La Chiesa ti ascolta”, del quale fa parte anche don Luca Peyron, 51 anni, direttore dell’Apostolato digitale di Torino e consigliere dell’Humane Technology Lab (Htlab), il laboratorio dell’Università Cattolica su esperienza umana e tecnologia, che sarà uno dei relatori della Biennale Tecnologia di Torino. Successivamente è atteso all'Università Cattolica di Milano, il 4 maggio, nell'ambito del percorso di formazione e aggiornamento dedicato all'Intelligenza artificiale e la comunicazione pastorale promosso dall'arcidiocesi di Milano.

Don Luca, a proposito di Intelligenza artificiale si parla di post-umano.C’è un limite all’uso della tecnologia rispetto all’umano?
«L’essere umano è il crocevia di due fondamentali tensioni: la prima è quella a superare il proprio limite, un desiderio sano, che da sempre ci abita. Nello stesso tempo l’essere umano patisce il peccato originale che rischia di far diventare questo suo desiderio idolatria, cioè superamento del limite “fontale”, un figlio che non vuole avere dei padri, un padre, Dio. Questa dinamica ha sempre attraversato la storia dell’umano. E non è un caso che la tecnologia sia stata usata per molti aspetti non come motore di sviluppo ma di sopraffazione, quasi sempre nella sua versione militare. Dal punto di vista della ricerca sarebbe sbagliato porre dei limiti. Dal punto di vista dell’esito di quelle ricerche il limite è la dignità umana, l’interezza dell’umano come creatura».

Per la teologia quali sono le cose positive nell’evoluzione della robotica? E le minacce?
«Parlare di vantaggi e minacce ci pone in una condizione di aut/aut (o questo o quello). La teologia cattolica è sempre et/et (sia questo che quello), perché la dinamica cristologica è una dinamica in cui l’umano e il divino coesistono nella stessa persona. Non esiste il positivo e il negativo, il bianco e il nero, il giusto e lo sbagliato, la minaccia, la paura e dall’altra parte il successo. È sempre un’operazione di continua dinamica e discernimento. La questione non è se il robot è una minaccia o un vantaggio, ma con quali finalità lo costruisco».

Oltre alla meccanica si studia anche il livello cognitivo ed emotivo per i robot. Potremo parlare di robot-persone, di dignità dei robot?

«Assolutamente no. La macchina è un oggetto, non possiamo darle dei diritti solo perché diventa antropomorfa. Non prova emozioni, non ha coscienza di sé, può imitare alcune funzioni umane, ma è ontologicamente diversa dall’umano. Dal punto di vista fenomenologico inventiamo macchine che assomigliano e imitano, ma dal punto di vista ontologico la differenza è incolmabile, sono macchine e nulla di più».

Ma chi decide dove vogliamo andare, chi controlla dove si va?

«Il controllo statuale è un ragionamento che si adatta alla società ottocentesca. Il problema è maturare una coscienza e condividere informazioni, sapienza e saperi, un’educazione che ci permetta, come consociati, di guardare insieme verso determinati orizzonti. Oggi la transizione tecnologica la governano pochi soggetti, supermonopolisti, estremamente ricchi e potenti, che indirizzano il pensiero delle persone con il potere algoritmico di cui sono capaci. È una grande questione di democrazia, nel senso di governo del popolo che sa quello di cui stiamo parlando. Perciò in questo momento della storia è fondamentale un’informazione che non sia allarmista o entusiasta, ma formativa, una capacità di educare un desiderio umano condiviso, una riformulazione collettiva delle ragioni per cui stiamo insieme. Con un’opinione pubblica focalizzata e informata, chi governa questi processi si adeguerà al mercato, perché sono imprese private».

Il Concilio parlava dei segni dei tempi. Questa rivoluzione tecnologica che segno è?

«È la prima volta che nella storia della Chiesa siamo sul pezzo. Il Sinodo ne è una dimostrazione, non siamo impreparati. È un processo in itinere che è oggetto di discernimento e di indicazioni da parte del magistero. Ed è importante perché viviamo in un tempo in cui è morto il pensiero organizzato e governare il futuro è impossibile. Il fatto che la Chiesa offra al mondo un suo pensiero a partire da un suo codice di lettura della realtà, come può essere la Scrittura e la Tradizione ecclesiale, è certo una buona notizia per la Chiesa, ma anche per il mondo nel suo complesso».


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