Torino Oggi - Messe in streaming, ostensione straordinaria della sindone in diretta, matrimoni senza invitati e funerali privati. Il Coronavirus ha stravolto le abitudini dei credenti, impossibilitati nel partecipare normalmente a una funzione o a curare personalmente il loro rapporto con i parroci del territorio. In questo quadro, un ruolo importante è quello svolto dal digitale, strumento fondamentale in questa fase per il rapporto tra la chiesa e i fedeli ma per certi versi ambiguo, dagli sviluppi controversi. Come è cambiato il modo di interfacciarsi tra preti e credenti? Il digitale, una volta superata la pandemia, avvicinerà la chiesa a una nuova fetta di popolazione? Ne abbiamo parlato con Don Luca Peyron, coordinatore servizio per l’apostolato digitale arcidiocesi di Torino, direttore della pastorale universitaria e docente Unito.
- Don Luca, è un periodo complesso per tutti. Le ordinanze, di fatto, hanno modificato la vita di milioni di persone, compresi i fedeli. Come si arriva a parlare con chi crede, come può la chiesa interfacciarsi con queste persone e riuscire a trasmettere concetti che hanno certamente una grande importanza ma anche un loro “peso”?
Le fatiche sono tre. La prima è rispetto alle generazioni: in una messa abbiamo tutte le età della vita, utilizzando gli strumenti digitali ci interfacciamo solo con alcuni di loro. Non interfacciamo con i più piccoli, che non li gestiscono in modo autonomo, non ci interfacciamo con i più anziani o con tutti coloro che sono più semplici e poveri, che non sono culturalmente attrezzati e non possono accedere al digitale. La seconda questione fondamentale è che il cristianesimo ha il suo fondamento nella corporeità, i sacramenti passano attraverso la corporeità: il pane, il vino, gli sposi, la confessione stessa con parole e gesti. La dematerializzazione che il digitale comporta, fa si che il valore positivo che questo elemento ha non ci possa essere. Non ci resta che la parola veicolata attraverso il digitale, l'espressione dei nostri volti quando facciamo direzione spirituale in chat, non ci resta che la possibilità di annunciare una promessa di quello che torneremo a fare con forse una mentalità diversa nel prossimo futuro.
- Una cosa che mi ha colpito, lei è coordinatore dell'apostolato digitale. La diocesi di Torino è piuttosto avanti rispetto al resto del mondo, è una delle prime al mondo a dotarsi di questo servizio. Quali sono le iniziative che avete messo in campo per far arrivare la parola di Dio nelle case dei credenti?
L'apostolato digitale è stato chiesto dal sinodo dei giovani, dal Santo Padre. E' nato a novembre, quindi prima della pandemia. Il nostro obiettivo non è fornire gli strumenti digitali, ma riflettere su come la cultura digitale impatta sulla vita delle persone. Quello che stiamo facendo attraverso l'emergenza Coronavirus è uno stress test di tutto: dei nostri rapporti sociali, personali, di come si lavora e si vive la fede. L'obiettivo è pensare questa realtà digitale attraverso le categorie del Vangelo. Abbiamo messo a disposizione delle persone un vademecum a partire dalle beatitudini, per leggere con intelligenza il nostro vivere digitale, il nostro stare chiusi in casa e i nostri rapporti attraverso degli strumenti digitali. Questo è stato il primo passaggio in tempo di pandemia, una riflessione a disposizione dei confratelli su come, piuttosto che su che cosa, dire attraverso questi strumenti. Quali sono le conseguenze dell'uso di questa tecnologia.
- Mi ha colpito una frase che ho trovato sul sito apostolatodigitale.it: “Il digitale è uno strumento, ma non uno qualunque: è molto potente pur sembrando molto semplice, considerevolmente pervasivo pur restando domestico”. Ecco allora la domanda: come si riconosce uno strumento utile da uno strumento persuasivo?
Io credo che la caratteristica del digitale sia quella di avere una grossa tensione a renderci dipendenti. Mi colpiscono le grandi piattaforme come Netlix che hanno offerto di iscriversi gratis o di avere gratis un tot di settimane di mesi. Io su questa gratuità sono un po' scettico, è un modo per dire "prova questa roba qui e poi ne diventerai dipendente". Nel momento in cui ci accorgiamo che una qualsiasi tecnologia, soprattutto quelle digitali, occupano troppo del nostro tempo e della nostra intelligenza, non stanno facendo un buon servizio. Anzi. Siamo noi che siamo al servizio della tecnologia e questo è un ribaltare le cose che non ci fa del bene.
- Il rapporto tra la chiesa e internet, con un focus sui social: Papa Francesco ormai ha un account su Twitter. Pensando al nostro territorio, anche la diocesi di Torino ha iniziato a trasmettere in diretta alcune funzioni. L’esempio massimo è l’ostensione della Sindone in streaming: tutto questo basta? Può essere un modo per arrivare ai credenti anche un domani, una volta finita la pandemia?
Io credo che la parola chiave sia emergenziale. Il digitale è uno strumento, è uno strumento che deve essere utilizzato soprattutto in maniera intelligente. In una situazione come questa si deve "rompere il vetro" e questo di fatto si sta facendo: le messe in streaming a cui lei fa riferimento sono esattamente questo. Ma dobbiamo stare attenti, perché rompere un vetro per utilizzare un elemento in emergenza, non significa che con quel vetro non ci si possa tagliare. L'ostensione straordinaria della sindone è un'idea straordinariamente forte, buona e bella: Paolo VI chiese la prima ostensione televisiva, si tratta di aggiornare l'intuizione di quel grande Papa. Una cosa però è venerare la sindone attraverso i social o fare un'adorazione eucaristica attraverso i social. Mi rendo conto che siano sottigliezze da prete, ma è proprio in questi dettagli che sta la nostra intelligenza nell'utilizzare questi strumenti. Oggi siamo chiamati a essere accanto alla nostra gente così come possiamo. Tutto ciò che stiamo facendo oggi in questo modo, deve però essere una promessa al recupero, al rilancio di altre modalità quando sarà possibile tornare a una sorta di normalità. Le faccio un esempio: adesso per le persone con fatiche respiratorie utilizziamo le maschere da sub adattate, immagino che quando l'emergenza sarà finita questo non sarà il trend degli anni futuri ma avremo il tempo per costruire strumenti adatti. Vale lo stesso per il digitale per l'annuncio della fede e per lo stare accanto alle persone. Resterà accanto a noi uno strumento importante, utile e fondamentale, ma che non deve farci venir meno il desiderio stare uno accanto all'altro. Scrivere su Whatsapp "ti abbraccio" o abbracciare una persona continuerà a essere diverso. Starà a noi scegliere che continui a essere diverso.
In ultimo, come vede Torino? Lei come tanti parroci del territorio è sempre stato a contatto con le persone. Ora meno, ma essendo dei punti di riferimento, molti vi contattano. Quali sono le maggiori preoccupazioni? Quali speranze e parole di conforto gli date?
Ci sono di nuovo fasce d'età diverse: l'anziano che ha visto molte cose nella vita è spaventato ma paradossalmente non spaventatissimo. E' solo, magari cerca conforto in una telefonata. La vera preoccupazione è di chi è più giovane, di chi ha 20 anni. I ventenni per la prima volta si scontrano con il fatto che si può morire e anche facilmente, questo inevitabilmente pone grandi domande. Poi ci sono le persone che hanno 40/50 anni, che hanno paura per il futuro, il futuro lavorativo o della loro famiglia, dei rapporti sociali. Credo che la parola di speranza che possiamo dare e che è legata all'evento di Pasqua, alla resurrezione di Cristo sia proprio questa: non c'è ferita, non c'è croce, non c'è morte che non possa essere affrontata e non possa essere addirittura uno strumento di salvezza, di gioia, di serenità e pace. La pandemia Coronavirus ci ha insegnato una cosa importante: non possiamo pensarci onnipotenti, non possiamo pensare che la tecnologia in qualche modo risolva tutte le questioni. Le grandi questioni del vivere e del morire continuano a essere custodite nel cuore dell'intelligenza dell'uomo. Nel corso dei secoli il Vangelo ha raccontato ad ogni singola generazione che se l'essere umano lotta per il bene comune e si lascia illuminare dalla presenza di Dio, è capace di fare cose straordinarie. Io credo che dopo la pandemia potremo scrivere la Divina Commedia e dipingere la Cappella Sistema, a patto di aver capito questa lezione: il vivere insieme, come un'unica famiglia umana che ha soltanto questo pianeta come casa, sia l'unica strada percorribile.
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