Gennaio è anche il mese dei resi di Natale, dei regali riciclati, dei regali in cui far valere la garanzia perché non funzionano come dovrebbero.
La pandemia ha mutato radicalmente le abitudini di spesa del mondo, nei modi, nei tempi e naturalmente negli obiettivi.
Gli sprechi di Amazon
L’indiscusso protagonista di tutto ciò resta Amazon, la piattaforma dai molti lati anche oscuri. Nata e sviluppata per mettere il consumatore al centro, con la sua potenza di fuoco ha cambiato lo stesso concetto di consumo. Una recente inchiesta giornalistica in Canada ha rivelato un aspetto non conosciuto del gigante tech, che ci aiuta a riflettere sul tempo che viviamo.
Usando telecamere nascoste e sistemi di tracciamento, i giornalisti di Marketplace hanno scoperto che i resi di Amazon, i prodotti che possono essere restituiti gratuitamente avendone solo presa visione, finiscono letteralmente nella spazzatura. Non vengono rimessi sul mercato, anche se sono perfettamente integri e funzionanti, ma buttati. Analoghi risultati ha prodotto un’indagine di Manitese del 2019.
Tonnellate di materiali a settimana che vengono distrutti e sminuzzati come rifiuti comuni finendo in buona parte in discarica, neppure riciclati come materiale in qualche modo riutilizzabile, semplicemente perché non è possibile o troppo costoso. Naturalmente il meglio sarebbe rivendere quei prodotti, donarli, e invece neppure il riciclaggio in effetti avviene.
Solo negli Stati Uniti nel 2019 – ultimi dati disponibili – sono stati conferiti due miliardi di tonnellate di rifiuti di questo genere. Numeri che salgono, sprechi che aumentano.
Globalizzazione degli stili di vita
La questione di fondo è che tipo di consumismo sia stato generato dalle piattaforme on-line e che tipo d’impatto esso abbia su tutti i sistemi economici, basati cioè sulla scarsezza delle risorse. Si potrebbe obbiettare che questo è il frutto di una mentalità tipicamente americana, ma la globalizzazione della merce è diventata anche globalizzazione degli stili di vita.
In Francia un’analoga inchiesta ha restituito numeri altrettanto significativi: tre milioni di resi in un anno. Rispetto a questi dati e questi numeri diventano velleitari piani e position paper di varia natura.
La questione di fondo che è necessario affrontare non è a valle, ma a monte. Il problema reale non è tanto ridurre gli sprechi, pensare forme di riciclo dei beni, una distribuzione dei resti ai meno abbienti e simili. La questione è eminentemente culturale, ed è alla base degli algoritmi di queste piattaforme che hanno un solo scopo: vendere, a chiunque, comunque e in qualunque contesto.
È libero mercato?
Si dirà che questo è il libero mercato, ma non è più vero e da tempo. L’egemonia economica e culturale delle grandi piattaforme ha da tempo cancellato il concetto stesso di concorrenza e di mercato, lo rivela finalmente a chiare lettere il Cicilline report del Congresso americano.
È venuto il tempo in cui vi siano provvedimenti legislativi posti a monte, che determinano cosa possano e non possano fare gli algoritmi di profilazione, come possano o non possano muoversi le grandi compagnie. È una questione di ecologia globale: esteriore e interiore, delle persone e del pianeta.
La questione di fondo non consiste nel chiedersi come Amazon possa evitare questo tipo di sprechi o ridurli, ma nel chiedersi se questo sistema di business, generato da algoritmi e modelli economici che incentivano tali modelli di vita, sia legittimo in questo frangente della storia.
Fratelli tutti significa anche questo, in questo nuovo anno che potremmo dedicare insieme a chiederci a chi davvero giova il sistema e che ruolo abbiamo in esso.
Articolo originale qui