Leone XIV e le sfide dell’intelligenza artificiale

Tre indizi fanno una prova. Leone XIV sarà un Pontefice che si occuperà e non poco di tecnologia ed in particolare di intelligenza artificiale. Lo si può dire non per vaticinio, ma perché lui stesso, nelle pochissime parole che ha già consegnato alla storia, ne ha fatto insistito riferimento. Lo ha fatto parlando ai cardinali che lo hanno eletto nella sala nuova del sinodo, lo ha fatto il giorno dopo parlando agli operatori dei media. Ma soprattutto lo ha fatto scegliendo il nome Leone XIV. Annunciato all’Urbe ed all’Orbe dal cardinal Mamberti quel Leonem ha stupito tutti ed ha scatenato il vaticanista che è in ognuno di noi. Ma è stato lo stesso Papa a darne l’interpretazione autentica: “Proprio sentendomi chiamato a proseguire in questa scia, ho pensato di prendere il nome di Leone XIV. Diverse sono le ragioni, però principalmente perché il Papa Leone XIII, infatti, con la storica Enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”. Una interpretazione che Robert Prevost si era premurato di comunicare tra i primi a Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa Vaticana, che la sera stessa dell’elezione ne diede ufficialmente notizia. Bruni che è stato convocato in sala regia pochi minuti dopo la fumata bianca e ben prima dell’apparizione dalla Loggia delle benedizioni, fatto mai accaduto nell’elezione di un Papa.

I media, ma anche i lettori ormai abituati all’immediatezza dell’informazione, stanno in queste prime ore e giorni letteralmente pendendo dalle labbra del Pontefice sezionando parole e gesti nel tentativo di comprendere future decisioni ed indirizzi. Il nome Leone XIV è uno dei pochi dati certi che possediamo. E non è un dato da poco perché la scelta non è mai legata ad un vezzo, ma è quasi il titolo della prima enciclica programmatica di un Pontefice. La metamorfosi digitale ed il suo impatto sulla società, sull’essere umano e sul suo/nostro essere amministratori del creato attraverso il lavoro saranno al centro del pontificato di Robert Prevost o per meglio dire ruoteranno all’unico centro autentico e perenne che è Cristo stesso con una meta ben precisa: la giustizia e la pace. Già il Magistero di Francesco aveva individuato nell’intelligenza artificiale e nelle tecnologie emergenti un fattore decisivo rispetto a questi due temi. Basti citare il messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2024, polarizzato proprio sull’AI e le sottolineature insistite, per esempio nella Laudato si’ o nei discorsi al corpo diplomatico. Il Magistero, dunque, ci ha già consegnato una lettura inevitabile: l’AI è un segno dei tempi, non una moda passeggera o una contingenza storica.

La scelta di Leone e quanto man mano ci verrà donato come impatta e che significato ha per il mondo universitario, per l’Università Cattolica in modo particolare? Per rispondere questa volta un po’ dobbiamo consultare la palla di vetro e leggere, con tutti i rischi connessi, più che parole dei segni, che però ragionevolmente possiamo cogliere come segnali. Papa Leone ha usato una parola, sinodalità, ha evocato un passaggio della Evangelii Gaudium sul dialogo con il mondo, ed ha parlato della scelta del nome al collegio dei cardinali riunito davanti a sé. Papa Prevost costruirà ponti con il mondo sul tema dell’intelligenza artificiale – e non solo naturalmente – camminando con la Chiesa e nella Chiesa. Guidando la Chiesa nel suo ruolo di sintesi, ma ascoltando la Chiesa e nella Chiesa chi, per mandato, ministero e vocazione è particolarmente attento ad alcuni temi. Già Francesco aveva invitato le Università ad occuparsi della metamorfosi digitale ed essere a servizio del mondo per dare una interpretazione, un collocamento culturale e degli elementi di governo che custodissero l’umano. Leone XIV si metterà in continuità piena con il suo predecessore, consapevole da buon agostiniano della differenza tra fede e ragione, tra pastorale e scienza, tra accademia e rivelazione. Ma nell’orizzonte fecondo del dialogo, nel segno della Cattolicità cristologicamente fondata di cui è garante sommo. Quell’et et che scaturisce dalle due nature di Cristo e che culturalmente significa la continua ricerca di equilibri dinamici che permettano di allargare sempre l’orizzonte così da tenere insieme quanto, di primo acchito, sembrerebbe difficilmente conciliabile. Sarà entusiasmante, per il nostro Ateneo e non solo, continuare ad essere partecipi di un processo culturale importante, fedeli alla nostra tradizione ed ai nostri fondatori. In dialogo ancora più costante e serrato con i nostri studenti, con i ricercatori ed i docenti più giovani, in quella comunione tra antiqua et nova che è nel nostro Dna.

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Don Luca Peyron: "Con l'AI democrazia a rischio"

 Intervista al teologo e professore della teologia della trasformazione digitale alla Cattolica di Milano: "L’intelligenza artificiale è uno strumento di potere e uno strumento d'ordine, che diventa significativo in mano a pochissimi soggetti"

Un simpatico post su Linkedin che parla dei primi tre giorni del Papa che coincidono con i temi che sta portando avanti già da qualche anno: “Ma resto umile…”. Don Luca Peyron è teologo e ironico, più che altro entrambe le cose insieme, ma si fa serissimo quando avverte come l’intelligenza artificiale sia un tema che la Chiesa deve affrontare con velocità e impegno: “Francesco per fortuna aveva già cominciato a parlarne, Leone XIV darà sicuramente continuità. Il fatto che abbia detto che la scelta del suo nome in buona parte arrivi da questo aspetto, è uno sprone per darsi da fare di più”.

Don Luca di AI ne parla da anni, è professore della teologia della trasformazione digitale alla Cattolica di Milano, nonché direttore della Pastorale Universitaria a Torin e coordinatore del servizio per l’apostolato digitale: “A 23 anni, mi sono occupato tra i primi in Italia del rapporto tra internet e diritto: i grandi nomi del settore non sapevano neppure accendere un computer, così come oggi non sanno bene come maneggiare l'intelligenza artificiale. Poi, quando ho preso i voti, Monsignor Giuliodori mi chiese di assumere la cattedra universitaria. Il servizio ecclesiale nasce poi nel 2019 per provare a capire cosa stia accadendo sulle tecnologie emergenti”.

Come affrontare dunque il tema IA legato alla fede?

“Ad intra rispetto all'annuncio del Vangelo e ad extra rispetto al dialogo con il mondo. Per questo sono stato anche il promotore della fondazione italiana per intelligenza artificiale applicata alle industrie, che lavora a Torino per conto del governo”.

Cosa c’entra la Bibbia con l’intelligenza artificiale?

“C’entra, ma bisogna fare dei passaggi: si tratta innanzitutto di una locuzione scivolosa che significa tante cose. Quello che è certo è che l'IA non è più uno strumento, ma è una cultura. Una modalità di esercizio di un certo tipo di tecnologia che è sempre più il modo con cui noi leggiamo la realtà e noi stessi”.

E qual è il pericolo?

“Faccio un esempio: la macchina quando è efficiente, efficace e veloce viene considerata buona. Se io traspongo questo criterio alle persone, solo una persona efficiente, efficace e veloce diventa buona. E questo crea un'ansia da prestazione permanente, soprattutto nei giovani”.

Il rischio è di sentirsi inadeguati.

“Esatto. Poi c’è il fatto che la macchina non solo imita piuttosto bene, ma spesso va oltre l'umano in alcune funzioni. Se io smetto di esercitare il mio controllo la realtà diventa mediocre statistica. E se smetto di pensare perché una macchina lo fa per me, sarò ancora capace di avere un pensiero critico?”.

E quindi è cultura a senso unico.

“È l'effetto IKEA: io ho mangiato nel seggiolone da bambini di paglia in cui ha mangiato mia madre, mia nonna, la mia bisnonna. I miei nipoti hanno mangiato su un seggiolone di plastica: è molto più comodo, però le nostre case rischiano di diventare identiche. E la democrazia è a rischio”.

In che senso?

“L’intelligenza artificiale è uno strumento di potere e uno strumento d'ordine, che diventa significativo in mano a pochissimi soggetti. Se con gli algoritmi sposto il consenso e solo quattro persone al mondo decidono come dobbiamo vestire o quale seggiolone comprare, non è lo Skynet di Terminator ma poco ci manca”.

Torniamo alla Bibbia…

“Il cristianesimo si fonda su tre idee fondamentali: che Dio esiste ed è padre figlio e Spirito Santo, che Dio si è incarnato, e che Cristo è risorto. Significa che l'essere umano nel momento in cui Cristo ne assume la carne, assume una dignità che già in parte aveva perché immagine e somiglianza di Dio. Ma nel momento in cui Dio stesso ne assume la carne, assume una dignità divina”.

Quindi?

“Per i cristiani tutto ciò che autenticamente umano, è autenticamente divino e divinizzabile. E’ il punto di incontro tra il cristianesimo e chiunque altro: perseguire l'autenticità e la pienezza dell'umano è l'obiettivo in cui si può riconoscere anche chi non crede. La Bibbia come codice di lettura antropologica della convivenza sociale diventa un mezzo per decodificare anche la cultura derivata dell'intelligenza artificiale, e non solo per i credenti. Questo è il nesso di fondo”.

C’è il pericolo che l’IA possa trasformarsi in una specie di religione?

“Un esempio: se Zuckerberg dicesse che lui può risolvere il problema della solitudine dando un bot con cui parlare, crea solo un'illusione. Deumanizza, perché parlare con una macchina, e al di là dei dati che consegno al caro Zuck, non tira fuori l'umano che sono”.

Quindi?

“Quindi non è un pericolo: sta già succedendo. Se ascrivo alla macchina una posizione di partner umano, addirittura di oracolo, ne faccio realmente un idolo, cioè uno strumento di salvezza. E chiudo il cerchio dell'involuzione umana”.

Qual è l’antidoto?

“Capire che la macchina, al massimo, può trasferire una parola che informa, che non è quella che performa strutturante la Parola di Dio. Se penso con l’IA di parlare con Padre Pio o Gesù Cristo, mi accontento di una roba che non è un solo po' meno, ma è proprio un'altra cosa. Un inganno”.

E si annulla il valore della confessione.

“Una macchina può essere un oracolo che mi aiuta a stare in certe regole. Però l'incontro con la Misericordia di Dio non è andare a chiedere al prete se quello che ho fatto è peccato o no. Gesù diceva ai farisei: passate la vita a fare leggi, ma con Dio non avete un rapporto”

È difficile spiegare questo ai giovani oggi?

“No. Quest’anno ne ho già fatto 94 conferenze nelle scuole o in università: i ragazzi sono nativamente consapevoli. Il difficile è il passo successivo: come faccio a non essere digitale? Qualcuno mi risponde: se è una cosa legale è giusto farla. Io però faccio notare che anche Hitler è salito legalmente al potere”.

Cosa può fare allora il Pontefice?

Papa Francesco ha sostenuto chi provava a capire qualcosa di questi temi quando c’era chi mi chiedeva se fossi un impallinato. Ora è chiaro che l’IA riguardi la Chiesa, che non è uno strumento ma una postura esistenziale.

Il rischio di monopolio assoluto può essere scalfito non con le leggi, ma grazie a un'opinione pubblica consapevole senza la quale non saremmo più liberi, Ecco: il Papa può permettere anche le persone più semplici di rendersi conto che questa non sia una questione marginale. Ma un cammino verso una democrazia più compiuta”.

Leone XIV. Don Peyron: “Sull’intelligenza artificiale desidera lavorare insieme a tutti noi”

 Prevost “è un uomo con una grande spiritualità ed una preparazione alla spalle di tutto rispetto” ma fin da subito ha anche dimostrato di essere “così tanto capace di leggere i segni dei tempi e desideri esserci immerso. Azione e contemplazione, una sintesi molto bella”, nota il sacerdote torinese, fondatore e coordinatore del Servizio per l’apostolato digitale. “Siamo carenti di scienza e di una cultura capaci di governare quanto accade. Anche di teologia e filosofia appropriate”, osserva: “Abbiamo bisogno di densità più che di velocità”

Sono già numerosi gli spunti offerti da Leone XIV nei primi discorsi pronunciati nei primi quattro giorni di Pontificato: pace, sinodalità, evoluzione tecnologica, giovani… Nella scelta del nome, Papa Prevost ha spiegato lui stesso che vuole mettersi nel solco del Pontefice della Rerum Novarum “per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale”. Poi, incontrando i rappresentanti dei media convenuti a Roma per il Conclave, è tornato di nuovo sul tema dell’intelligenza artificiale parlando del “suo potenziale immenso” e della necessità di “responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti, così che possano produrre benefici per l’umanità”. Ne parliamo con don Luca Peyron, sacerdote dell’arcidiocesi di Torino con alle spalle un’esperienza accademica e professionale nell’ambito del diritto industriale, direttore della Pastorale universitaria diocesana e regionale nonché fondatore e coordinatore del Servizio per l’apostolato digitale che è uno dei primi servizi a livello globale della Chiesa cattolica con il compito di riflettere, progettare e agire rispetto alla cultura digitale in una prospettiva di fede.

Don Peyron, quelle di Papa Leone immagino siano parole che le abbiano fatto più che piacere e che ora chiedono un rinnovato impegno…
Mi hanno toccato due aspetti. Il primo che abbia voluto spiegare la scelta innanzitutto al collegio dei cardinali, coloro che per primi condividono con lui la grande responsabilità di governare la Chiesa e guidare il popolo di Dio. Segno che su questo tema desidera lavorare insieme a tutti noi. Una sinodalità reale.

Il secondo aspetto che mi ha toccato è che

un uomo con una grande spiritualità ed una preparazione alla spalle di tutto rispetto sia anche così tanto capace di leggere i segni dei tempi e desideri esserci immerso. Azione e contemplazione, una sintesi molto bella. Ed un invito per chiunque.

Su cui, almeno in queste prime ore del suo Pontificato, continua a tornare, così come sul tema della pace. Siamo, per dirla ancora con Francesco, in un cambiamento d’epoca in cui ci giochiamo moltissimo.

Sempre rivolgendosi ai cardinali, due giorni dopo l’elezione, il Papa ha evidenziato l’esigenza della “creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto. E guardando all’evoluzione tecnologica, questa missione diventa ancora più necessaria”. Con che animo ha accolto queste parole? Non siamo all’anno zero in questo ambito, in che cosa serve accelerare?

Non credo sia necessario accelerare, piuttosto il contrario, rallentare, non nei processi tecnologici, ma nel tempo che ci diamo per rifletterci sopra.

La tecnica va oggi molto veloce, ma la scienza non è al passo, non precede per forza di cose la tecnica.Siamo carenti di scienza e di una cultura capaci di governare quanto accade. Anche di teologia e filosofia appropriate. Abbiamo bisogno di densità più che di velocità.

Tale densità si può raggiungere se le migliori forze che abbiamo si applicano e si mettono insieme. Penso ad esempio al progetto “La Chiesa ti ascolta” nato dal Sinodo, una presenza nel continente digitale di tanti missionari e missionarie digitali che abitano la rete con amore e con spirito di servizio. Le parole di Leone ci aiutano a sentirci ancora di più con la Chiesa e nella Chiesa. Le parole forti e miti di Papa Prevost creeranno ancora di più queste condizioni. Questo mi rende felice perché non siamo oggi in molti nella Chiesa ad occuparci di questi temi, saremo di più e saranno i migliori. Certamente migliori di me e questo mi consola tanto.

Nel suo primo Regina Caeli, Leone XIV ha invitato i giovani ha esortato i giovani: “Non abbiate paura! Accettate l’invito della Chiesa e di Cristo Signore!”. Da cappellano universitario Lei ha a che fare con molti giovani. Cosa chiedono alla Chiesa? In che modo possono essere più coinvolti?
Papa Leone ha invitato i giovani a non avere paura di accogliere la vocazione che il Signore propone loro, a non tacitare il desiderio più grande che hanno nel cuore e forse neppure sanno di avere. Per quel che capisco

i giovani chiedono ai cristiani adulti di essere loro compagni di strada in questa ricerca e, soprattutto, di essere credibili testimoni che un sì detto a Dio riempie il cuore di gioia e non ti consegna ad una vita depressa e fatta di rivendicazioni.

Papa Francesco diceva Evagelii Gaudium, possiamo parafrasare con gaudium vocationis. A cui dare spazio concreto nella vita della Chiesa.

Lei è in queste settimane in libreria con il suo ultimo volume “Sconfinato”, per i tipi di Edizioni Sanpaolo. A cosa allude il titolo e come si colloca in questo tempo della Chiesa?
Sconfinato è il racconto di tante notti trascorse a contemplare il cielo stellato con l’uso di un telescopio in accoglienza di una bellezza nascosta che ci può aiutare a smettere di nasconderci, a scoprire il bello che ci abita. Il cielo sconfina e se solo ce ne rendessimo conto di più la terra sarebbe un posto diverso, il nostro cuore e la nostra vita sarebbero diversi. A partire dallo stesso Gesù, lo sconfinato per eccellenza: incarnato, esule, ucciso fuori delle mura, risorto e che si aspetta sull’altra riva. Nella mia piccola esperienza pastorale sempre di più sento l’esigenza di mostrare la pertinenza della fede con la vita, della scienza con il credere, della Scrittura con il tempo che viviamo.

Passando per l’astronomia che è una scienza che meravigliosamente ci mostra che le notti non sono buie e restituendo così speranza al nostro andare. Passando per l’intelligenza artificiale che è una grande provocazione alla nostra vocazione umana.

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Il Papa e l’Ai, un’altra Rerum per non idolatrare la tecnologia


Sabato, incontrando i cardinali, il pontefice Prevost ha chiarito la continuità con Leone XIII: affrontare una nuova rivoluzione industriale, stavolta digitale, con gli strumenti della Dottrina sociale. Ne abbiamo parlato con don Luca Peyron, sacerdote torinese, a capo dell'Apostolato digitale della sua arcidiocesi, docente della Cattolica, membro della Fondazione per l'intelligenza artificiale

«Comunque vorrei far notare che il Papa il primo giorno di pontificato ha parlato di Madonna di Pompei (di cui sono parroco), il secondo di tecnologia e missione (e coordino il servizio per l’Apostolato digitale) ed il terzo che ha scelto il nome Leone pensando all’intelligenza artificiale (di cui mi occupo con la Fondazione per l’Intelligenza Artificiale di Torino). Ma resto umile :-)».

Aldilà dell’ironia, davvero preziosa in chi fa il prete, Luca Peyron, torinese, classe 1973, in questo post sul suo profilo LinkedIn di sabato scorso, è davvero umile, perché già nel 2019 organizzava Rerum Futura, un millennials digital labo, in cui, si leggeva nel programma, «gli studenti universitari possono unirsi in modalità interdisciplinare per applicare le loro conoscenze alla risoluzione di problemi sociali, e in questo compito possono lavorare fianco a fianco con giovani di altre Chiese o di altre religioni». E, ovviamente si parlava anche delle sfide che la transizione digitale, Ai compresa, poneva in termini di equità, accesso, tutele dei diritti. 

Peyron, che insegna alla Cattolica di Milano, ha da poco portato in libreria SconfinatoNuove cronache di cieli sereni (edizioni San Paolo), incentrato sul rapporto tra fede, scienza, speranza e vita.

Don Peyron, il Papa in uno dei suoi primi discorsi, ha appunto fatto un riferimento esplicito al legame tra la scelta del suo nome, Leone XIV, con il pontefice della Rerum Novarum, Leone XIII, “inventore” della Dottrina sociale della Chiesa, che parlò al mondo nel pieno di una Rivoluzione industriale. Oggi la Chiesa, nel pieno di un’altra rivoluzione, quella dell’Ai, offre all’umanità i suoi insegnamenti. Lei ha appena scritto un libro su fede e scienza, ci aiuta a capirne la portata della scelta del nuovo Papa?

È una scelta indubbiamente molto forte.

Perché?

Perché il nome per un Papa non è un vezzo, è il primo indicatore del suo sguardo e della sua sensibilità, del continuum che desidera custodire e rilanciare. Possiamo dire che è il modus con cui ritiene di interpretare il mandato petrino, il presiedere nella carità le Chiese e dunque la Chiesa universale.

Questo riferimento dritto all’intelligenza artificiale, alla tecnologia?

Già papa Francesco si è occupato di Ai in un crescendo di interventi diversi. Il fatto che per Leone sia uno dei fattori più significativi dice, per un verso, che l’intelligenza artificiale è sempre di più il fattore chiave del tempo che viviamo e dall’altro che essa incide su tutti gli aspetti della vita. Lei ha citato il mio libro Sconfinato: è un diario di viaggio in cui, attraverso l’osservazione del cielo, fatta usando tecnologia, si può scoprire un viaggio altrettanto importante dentro se stessi. La tesi di fondo è che se ci accorgessimo che il cielo sconfina con bellezza sulla terra vivremmo molto meglio la terra e le nostre relazioni. Credo che analoghe considerazioni potremmo farle per l’intelligenza artificiale. Il portato della Bibbia, il codice dei codici, può aiutarci a vivere pienamente e con speranza questo tratto della storia così tanto segnato dal codice delle macchine.

Parlando di un’umanità senza Cristo, Leone ha detto che ricade nel piacere, nel potere e ha citato anche la tecnologia. Anzi la mette proprio per prima: «Si preferiscono tecnologia, denaro, successo, potere, piacere». A quale rischio si riferisce, secondo lei?

Il rischio è quello di una escatologia tecnologica, di una sorta di idolatria della macchina, di una delega all’oggetto di quanto è proprio del soggetto. Un esempio ci può aiutare a comprendere. Di recente Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Meta, ha dichiarato che viviamo in un mondo in cui le persone non hanno amici. La sua soluzione alla solitudine dei nostri contemporanei è quella di chattare con un bot.

La soluzione della Chiesa?

Guardi, Cristo ci riporta all’autenticità dell’umano, che è relazione, generazione, fragilità e comunione. Il silicio del digitale serve, certo. Ma non serve se asserve disumanizzandoci.

E l’Ai?

L’intelligenza artificiale è una tecnologia che conferisce particolare potere e poteri. È un forte strumento di ordine e considerando che, veicolata dai nostri smartphone, abita buona parte della nostra vita, può essere utilizzata per ulteriormente polarizzare, scavare fossati, creare ingiustizie. Già un tempo si disse che l’homo sapiens è diventato homo ludens, oggi homo videns. L’accento di papa Leone è sul fatto che l’essere umano non diventi incapace di pensare. Dunque di scegliere, dunque di essere libero.

Questo è un pontefice missionario, l’Ai potrebbe anche essere uno strumento di nuova evangelizzazione e promozione umana? 

Certamente. Può essere un mezzo di promozione umana nella misura in cui càpacita l’umano, è strumento di giustizia, permette un migliore perseguimento del bene comune. Che sia strumento di annuncio in sé e per sé mi pare più difficile. Il digitale lo è, l’intelligenza artificiale in sé mi pare meno evidente.

Perché?

Perché l’evangelizzazione è in definitiva, la trasmissione di una passione per l’incontro con la persona di Cristo. Non è la trasmissione di una informazione, ma di una esperienza esistenziale. Ha bisogno di carne e sangue più che di computazione ed esattezza numerica. L’amore si mostra, non si dimostra con formule algebriche. L’intelligenza artificiale non può fare tutto. Ma è una buona notizia.

Sottoscrivo. Senta, ma qualcuno paventa già rischi di oscurantismo: «I soliti cristiani timorosi del nuovo». Come risponde?

È un rischio vero, perché navighiamo tutti tra Scilla e Cariddi, tra entusiasmo cieco e paura irrazionale. Il timore dei cristiani non è nel nuovo, ma nel sin troppo vecchio umano. La tecnologia in sé è un concetto, l’intelligenza artificiale quasi uno slogan. Esistono invece i sistemi di intelligenza artificiale progettati, usati ed applicati da persone concrete. Quelle stesse che ieri ed oggi, chissà domani, sono segnate da egoismo, paura, chiusure, divisioni. I cristiani temono il male, papa Prevost ha cominciato il suo ministero dicendo però che il Male è stato sconfitto alla radice. I cristiani, e non solo loro, dovrebbero guardarsi dal male anche nel silicio. E poi, certamente, puntare al bene, al bene maggiore. Mi si lasci chiosare dicendo che i cristiani autentici non sono pessimisti, non possono esserlo, perché Cristo è risorto. Un cristiano che sia oscurantista sul serio, non tacciato di esserlo, forse tanto cristiano non è.

È un caso che diversi religiosi, tra cui lei e padre Paolo Benanti, siate apprezzati esperti di questa materia?

Mi fa sorridere il fatto che Paolo ed io ci siamo conosciuti a Torino in occasione di una iniziativa organizzata cinque anni il cui titolo era Rerum Futura, facendo il verso proprio alla Rerum Novarum di Leone XIII. Lo Spirito Santo ama giocare anche con le parole. Alcuni tra noi, come padre Benanti che lei cita, sono studiosi apprezzati che portano un contributo importante. Io mi limito a fare divulgazione.

Lei continua a restare umile, come diceva il post di Linkedin…

Credo che una formazione teologica possa essere oggi a servizio del mondo proprio perché l’intelligenza artificiale è una ambiente ed una cultura che tocca l’umano. Vorrei aggiungere una cosa…

Prego.

Che la Santa Sede, rispetto ad altre istituzioni, ha un grande vantaggio che oggi può essere a servizio di tutta l’umanità. Il Papa, ormai tra i pochi, può convocare il meglio del mondo per dialogare e costruire un pensiero solido e provato che aiuti tutti ad avere e prendere una direzione autenticamente umana. La parola “chiesa”, in greco, significa comunità radunata. La Chiesa radunata può radunare, per un futuro, come amava dire papa Francesco, umano. Con le macchine, ma a servizio della vocazione umana. Di tutti, ovunque.


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La passeggiata spaziale ha mostrato che la luce può riempire l'oscurità

 Sessant’anni fa l’essere umano passeggiò per la prima volta nello spazio. Aleksej Leonov fu scelto dalla nomenklatura sovietica perché sapeva rischiare, aveva coraggio, perizia, desiderio e fermezza

Sessant’anni fa l’essere umano passeggiò per la prima volta nello spazio. La mattina del 18 marzo 1965 Aleksej Leonov, a bordo della Voschod 2, uscì nel vuoto cosmico unicamente protetto dalla tuta spaziale. «Quello che mi colpì di più fu il silenzio. Era un grande silenzio, diverso da qualsiasi altro avessi mai incontrato sulla Terra, così vasto e profondo che iniziai a sentire il mio stesso corpo: il battito del cuore, il pulsare dei vasi sanguigni, persino il fruscìo dei muscoli che si muovevano l’uno sull’altro sembrava udibile. C’erano più stelle nel cielo di quanto mi aspettassi. Il cielo era di un nero profondo, eppure allo stesso tempo brillante di luce solare». Si era in piena guerra fredda e lo spazio era il luogo per dimostrare la superiorità tecnologica e scientifica dei rispettivi sistemi. Dopo il volo di Gagarin nel 1961, la prima passeggiata spaziale rappresentava un altro traguardo fondamentale. Il momento clou avvenne 90 minuti dopo il decollo, alle 8 e 34 minuti, quando Leonov, legato a una corda lunga 5,35 metri, uscì dall’abitacolo facendo entrare il suo nome nei libri di storia.

«Quando mi voltai a guardare la Terra, capii che la mia vita non sarebbe mai più stata la stessa». La durata complessiva dell’attività extraveicolare fu di 12 minuti e 9 secondi. Se l’uscita fu facile, non altrettanto il rientro, complicato dalla tuta che si era gonfiata come un pallone. Leonov dovette sfiatare parte dell’ossigeno per ridurne l’ingombro, rischiando però una embolia. Lo stupore fu più grande della paura: «In quei minuti mi sentii come un gabbiano con le ali dispiegate, che si staglia in alto. Ero pienamente concentrato, con il sangue freddo e, relativamente, non eccitato. Ma la vista fu straordinaria: le stelle non brillavano, era tutto fermo, tranne la Terra». «L’umanità intera aveva compiuto un passo al di là del suo pianeta – disse in seguito –. Ero solo il tramite di un sogno collettivo .

Leonov, pittore dilettante, non mancò di fare un commento artistico: «La Terra era assolutamente rotonda. Credo di non aver mai saputo cosa significasse la parola rotonda finché non ho visto la Terra dallo spazio». Soleva dire che solo quando si è lassù si percepisce la grandezza di ciò che ci circonda. Oggi la corsa allo spazio è ripresa, con nuovi orizzonti e identiche questioni geopolitiche. L’avventura di quei primi tempi è ancora in grado di parlare al nostro cuore? Silenzio, consapevolezza, bellezza, perfezione, meraviglia, contemplazione. Benché siano passati sei decenni e immagini più spettacolari ci abbiano toccato, le semplici parole del racconto di Leonov ci fanno ancora pensare e sognare.

L’aiuola che ci fa tanto feroci, come scrisse Dante, potrebbe sicuramente essere quel diverso giardino evocato in Genesi se solo dedicassimo più tempo alla meraviglia a cui siamo esposti ogni notte. Una meraviglia che educa al Meraviglioso che ce la dona, al meraviglioso che l’altro da noi segretamente nasconde. La passeggiata di Leonov ci invita a nuovamente passeggiare in qualche silenzio, contemplare l’armonia di cui siamo circondati, i punti fissi di luce laddove distrattamente vediamo solo nero. Leonov fu scelto dalla rigida nomenklatura sovietica perché sapeva rischiare, aveva coraggio e perizia, desiderio e fermezza. Pur sacrificabile, scelse di esserlo. Per portare l’umanità un passo oltre il suo confine. Un buon esempio in tempi in cui sentiamo il bisogno di donne e uomini che costruiscano speranza rischiando sé stessi.


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In cosa credono i giovani? Dalla ricerca del sacro alla ricerca di sé

giovedì 27 marzo 2025, ore 14-17

Aula C2 Campus Luigi Einaudi | Lungo Dora Siena 100 A - Torino

In cosa credono i giovani? Dalla ricerca del sacro alla ricerca di sé

Dibattito a partire dalla presentazione del volume a cura di Paola Bignardi e Rita Bichi, “Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità”

Partecipano Paola Bignardi, Rita Bichi, Carlo Genova, Luca Peyron, Roberto Francesco Scalon

Ciclo di incontri “Religioni nel libro” organizzato da Università di Torino – Dipartimento di Giurisprudenza, Dipartimento di Culture, Politica e Società e CRAFT, Centro Interdipartimentale di Scienze Religiose, Biblioteca Norberto Bobbio

Qui per maggiori informazioni 

Luca Peyron, indispensabile il dialogo tra scienza e fede

 Il teologo appassionato astronomo a Fiera del Libro di Taipei


Indispensabile il dialogo tra scienza, fede e tecnologia per Luca Peyron che su questi temi ha uno sguardo originale.

Giurista, teologo, sacerdote diocesano, coordinatore degli aspetti culturali e pastorali di Spei Satelles, la prima missione spaziale nella storia della Chiesa Cattolica, lo mostra nel suo libro Cieli Sereni, pubblicato da Edizioni San Paolo nel 2023, che ha venduto 5 mila copie e ha avuto quattro ristampe, di cui è in arrivo il seguito Sconfinato.

Al centro di tutto c'è il cielo "che dovrebbe abitare di più la vita delle persone" dice all'ANSA Peyron tra gli ospiti della delegazione italiana alla Fiera del Libro di Taipei, dal 4 al 9 febbraio, dove l'Italia è Paese Ospite d'Onore.
    "Taiwan è uno dei centri mondiali più importanti per la produzione di tecnologia. È il luogo in cui nasce fisicamente la tecnologia che tutti utilizziamo. Un posto iconico. Parlare di questi temi qui è come andare alla sorgente di ciò che ci circonda. Farlo con il paese di cui faccio parte per me è un motivo di restituzione" spiega Peyron che è cappellano del Politecnico, insegna Teologia digitale alla Cattolica di Milano e fa catechesi con i meteoriti.
    "La tecnologia deve custodire l'umano. 'Cieli sereni' è un diario della nascita e della mia passione di astro fotografo e di come incontrare galassie e pianeti mi faccia rileggere la fede con categorie diverse che per me sono diventate un linguaggio per annunciare in modo diverso il mistero di Cristo" racconta del suo sesto libro. Annuncia anche: "con la Fondazione Matrice, grazie ai fondi del Pnrr e con l'aiuto di Fondazione Crt abbiamo un progetto per costruire il primo telescopio solare ad uso delle scuole mettendo insieme insegnati di lettere, scienze, religione in maniera multidisciplinare. Il tema dello spazio unisce tantissimo, apre orizzonti e smonta incomprensioni". La fede, continua "ci da una serie di obiettivi, la scienza ci da la capacità di raggiungerli. La scienza non spiega Dio, spiega la realtà, ma nello spiegare la realtà mostra l'opera di Dio. Gesù fa il falegname, è il costruttore di tecnologia. Ma che tipo di tecnologia è quella che costruisce? Una tecnologia per la cura: la culla, il tavolo, la sedia" spiega. Oggi che la tecnologia è così potente dovrebbe, secondo il teologo, "incorpora un elemento di cura.
    Basta pensare ai social media che possono essere strumento che crea dipendenza o che crea indipendenza".
    Peyron collabora anche la Fondazione Nazionale per l'Intelligenza Artificiale che ha sede a Torino. "Ho animato il processo che la ha portata ad esistere. L'Ia - dice - è una cultura, un ambiente e quindi cambia i rapporti umani, il dato antropologico, l'identità. È una tecnologia ecologica, non nel senso che non consuma energia, ma che se la introduci in un ambiente cambia il colore di quell'ambiente, come una goccia di colorante in una bottiglia d'acqua. Se io introduco una tecnologia così trasformativa nella vita dell'essere umano voglio che questo renda l'umano sempre più umano, non sempre più vicino alla macchina". Può, si chiede Peyron, l'IA essere al servizio di una maggiore umanizzazione? Può essere una componente vocazionale, permettermi di essere più umano? Può essere al servizio delle relazioni per renderle più autentiche? "È una tecnologia capace di inglobare valori, governata da persone, l'obiettivo che tutti dovremmo avere e che dovrebbe essere perseguito da chi disegna Intelligenza Artificiale, soprattutto generativa e complessa. La macchina deve avere anche uno scopo sociale-umanistico. Non posso fare un algoritmo senza considerare le conseguenze antropologiche e psicologiche. Posso usare la macchina per pensare meglio ma non per non pensare più" dice convinto Peyron.
    Quando uscirà il nuovo libro, Sconfinato? "Ad aprile, sempre Edizioni San Paolo. L'idea di fondo è che la terra potrebbe essere più bella se lasciassimo che il cielo sconfinasse un po' di più. Partendo dal presupposto che Cristo è lo sconfinato per definizione" annuncia il teologo.

 

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