La mala educazione di ChatGPT, tutta colpa dell'input che riceve

La macchina non ha capacità di discernimento e di senso: per questo bisogna introdurre il parametro etico. Che non significa dare un'anima o una coscienza al chatbot. Poi bisogna educare anche il partner: cioè l'uomo. È in gioco la democrazia e non solo nella società. La lezione di Benedetto XVI.



Scrive molto bene, ma di lei ultimamente scrivono in parecchi molto male: ChatGPT. Mi inserisco volentieri nel dibattito che anche su queste pagine digitali si è svolto per portare un ulteriore contributo.  Già si sono sottolineate le questioni etiche, i rischi legati allo sconquasso che tali sistemi porteranno nel mondo del lavoro, alla necessaria riorganizzazione delle imprese sino ai timori legati all’uso improprio di tale tecnologia soprattutto da parte dei più fragili per età o per condizione sociale.

Mi pare che tutti i timori che possiamo legittimamente e coerentemente elencare possono essere per molti versi ricondotti ad un medesimo tema, così come eventuali soluzioni. Ritengo che un modo concludente di affrontare la questione non sia quello di determinare a tavolino e preventivamente degli stop predeterminati a questo tipo di tecnologia ed alle sue applicazioni. La questione deve invece essere ricondotta a monte per potere poi agire con maggiore consapevolezza a valle. Il punto di partenza è l’educazione, da leggersi sotto due profili che si integrano ed intersecano tra loro. Oggi la macchina non deve essere semplicemente addestrata. Quanto produce nasce da una lettura di dati giocoforza corrotti. Corrotti in senso tecnico e corrotti in senso etico. La macchina non ha capacità di discernimento e di senso, legge in modo computazionale, per quanto evoluto. Questo la porta a pensare ed agire in modo corrotto perché l’input che riceve è corrotto.

La necessità di un percorso educativo

Di qui la necessità che al semplice addestramento si approdi ad un percorso educativo. Se effettivamente essa si sta dimostrando capace di associazioni più complesse che non un sistema stocastico allora è necessario cominciare a pensare come bene educare la sua intelligenza profonda. Ciò non significa dare un’anima o una coscienza alla macchina, questo non sarebbe possibile, ma passare dall’addestramento all’educazione sì, ovvero una capacità di giudizio del dato usando il parametro etico come nuovo parametro di valutazione della performance della macchina. Per realizzare questo la direzione è quella, certamente giudicata scomoda in molti settori, di riprendere in mano la questione della verità ed implementarla nuovamente nel sistema semantico della macchina e forse non solo.

Non vi può essere esattezza e giustizia senza verità, e non è accettabile che il potere anche epistemico di tali macchine non sia guidato ab origine da tale criterio. La seconda educazione a cui dobbiamo tendere è quella dell’altro partner della macchina in questo tempo, l’essere umano. Le questioni sono particolarmente sofisticate e, dunque, parrebbe impossibile chiedere a chiunque di comprenderne la portata e di padroneggiare i sistemi. Per educazione però non intendo il conferimento a chiunque di capacità tecniche, ma la sapienza e l’informazione per chiunque di conoscere, a grandi ma decisive linee, di che cosa stiamo parlando, di come queste macchine funzionano, di che cosa in particolare ChatGPT è capace, di cosa non è capace, di che cosa è bene che non sia capace, cioè a che cosa sarebbe bene che non si applicasse. Il potere trasformativo di queste tecnologie è tale e tanto che è in gioco la democrazia e non solo nella società, pensare di poter trattare tutto questo come un tema esotico di cui solo alcuni possano e debbano occuparsi non è più tollerabile.

Educazione dunque, in tutti i sensi e latu sensu. Papa Benedetto XVI in tempi non certo sospetti, ma profetici, parlò di emergenza educativa e venne ingiustamente tacciato del consueto oscurantismo clericale che ciclicamente viene ripescato. Scriveva alla Diocesi di Roma il papa tedesco: “A differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell'ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell'uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale. Non possiamo pensare di fare a meno dell’educazione per la ragione di avere tra le mani uno strumento tecnico così potente e bello da farci toccare vette inesplorate, al contrario. Continua Benedetto: “Il rapporto educativo è però anzitutto l'incontro di due libertà e l'educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà”.

La tecnica ci libera da molte pastoie e fatiche, ma la libertà non è solamente liberazione da pesi, da vincoli, da fatiche. La libertà autentica è soprattutto la possibilità concreta di assumerci delle responsabilità. Come fare incontrare la libertà dei singoli dalla ricchezza inestimabile che viene dagli strumenti tecnici che l’essere umano è oggi in grado di creare ed operare? Benedetto risponde così: “anima dell'educazione, come dell'intera vita, può essere solo una speranza affidabile”.

Il fattore umano e il progresso

Riponiamo la speranza nel futuro nelle macchine, nel progresso tecnico e scientifico o, piuttosto nell’essere umano che di quel progresso è unico fattore e motore? La macchina presunta intelligente non ci faccia mai dimenticare che è l’essere umano l’origine e solo l’essere umano il fine. In una prospettiva di fede l’essere umano autentico capace di atti divini ed orientato ad essere pienamente umano e divino insieme. Sappiamo che è possibile educare l’umano. È possibile costruire macchine che incorporino dell’etica, che sia educate in tal senso? Solo rispondendo di sì è legittimo immettere nel sistema macchine, come Chatgtp che tanto incidono sull’etica e sulla vita. Altre strade sono semplicemente lesive della nostra dignità.

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Sul tetto della mia parrocchia il telescopio apre il cuore di tutti

Un parroco torinese appassionato di astronomia racconta la sua esperienza di pastorale tra la gente passando per la "porta" di stelle, pianeti e comete. Una ricerca interiore che coinvolge e incanta



«Il cielo è un luogo a cui andare per vedere, e ascoltare. Ciò che da bambino era curiosità e meraviglia, da adulto nutre il mio cuore, la mia speranza, la mia fede. E quella della mia gente» Credo. Aumenta la mia fede. Questa preghiera fu degli apostoli ed è di ogni credente, ha senso in qualunque tempo. Soprattutto se il tempo che vivi cartavetra la fede in tutti i modi. Aumenta la mia fede è la preghiera di chi è chiamato in modo particolare a confermare nella fede la sua gente, come mi capita ogni giorno facendo il cappellano universitario e il parroco. Tutti condividiamo la sensazione che in tempo di carestia spirituale bisogna prendere fiato dalla pastorale che ti strangola per pregare e cercare dove attingere vita. Se il salmo 19 ha ragione – «i cieli narrano la gloria di Dio e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento» – allora in un tempo in cui vedere è diventato importante quanto ascoltare, il cielo è un luogo a cui andare o, nel mio caso, tornare. Da bambino molto del mio mondo era al di là di una finestra, verso il cielo; da bambino potevo andare a letto più tardi solo se trasmettevano un film di Jerry Lewis. O una missione dello Space Shuttle. Non avevo un telescopio, troppo costoso uno serio: avevo un binocolo, ma dalle finestre di casa nostra in una città come Torino si poteva vedere giusto uno spicchio di Luna tra i palazzi e nulla più. C’era Star Trek, ma lo spazio vero era destinato ad aspettare. Sino a oggi.

A 50 anni appena compiuti sono tornate le stelle, il cielo profondo, galassie e nebulose, Saturno e Giove, i crateri della Luna. Quello che da bambino era curiosità e meraviglia, da adulto nutre il mio cuore, la mia speranza, la mia fede, la mia passione per l’appassionato crocifisso. La Scrittura, la teologia, la lettura dei Padri, l’ascolto delle persone, la celebrazione dei sacramenti, la vita pastorale nutrono il mio essere prete sino in fondo. Ma nonostante tutto questo si corre sempre il rischio di credere per buone ragioni, di amare per buoni sentimenti, di predicare per dovere di ufficio. Il fuoco della trasfigurazione ha bisogno di bellezza soprannaturale per continuare a divampare. Di bellezza che non sia il frutto dell’agire umano, ma esclusivamente dell’agire divino. E il cielo stellato è proprio così. Di qui un primo telescopio piccolo piccolo, poi uno decisamente più serio come regalo per il mezzo secolo. Il tetto della parrocchia che permette un bell’orizzonte, qualche uscita fuori porta al mare o in montagna, e le galassie o le comete sono servite. Ma se sei prete non puoi che essere prete. E se stai sulla parola di Dio lasciando che ti metta un po’ in crisi, non puoi far finta di nulla. Se ricevi un dono è per donarlo a tua volta. La parabola del povero Lazzaro e del ricco narra certamente del nostro frigorifero, ma anche di quello che nutre il nostro cuore, lo spirito, la fede. Così cielo e telescopio sono diventati uno strumento pastorale, per stare insieme, per pregare insieme. Con i più piccoli, ma anche e soprattutto con i più grandi. L’invito è facile, la serata si combina velocemente, il dialogo si può fare serrato. L’inquinamento luminoso è implacabile in città, ma ti permette lo stesso di accarezzare gli anelli di Saturno, di rimanere a bocca aperta davanti alla macchia rossa di Giove, di tuffare lo scetticismo e il disincanto di questo tempo in miliardi di stelle di un ammasso globulare. Sorvolare la Luna e atterrare in un cratere è l’occasione per rivedere il senso delle nostre ferite, ridare il nome alle piaghe interiori.

Ridare luce al cinereo di alcuni pensieri che attraversano la storia e le vite della mia gente. Far tornare il sorriso a una ragazza che ha perso suo padre. Se metti decine di universitari sul tetto per dare la caccia a una cometa, quella a Cristo li porta sempre. Poi il Signore è sempre al di là delle tue aspettative, e ti trovi pure a dare una mano al Santo Padre per mettere insieme una missione spaziale (www.speisatelles. org). Ma è un’altra storia. Spesso mi risuona nel cuore un passaggio del Padre Nostro: come in cielo così in terra. Da quando prendo freddo tra i comignoli e il silenzio delle notti stellate, questa frase è diventata tanto altro di più. Bibbia e telescopio dunque, non per fare scienza, ma per ascoltare dalle profondità del Creato una parola capace ancora di creare. Ci scrivi un libro, lo racconti nelle scuole, ci fai un pezzo per Avvenire. Lo stupore di essere abitatori di un puntolino da nulla in tutto il cosmo in cui Cristo ha scelto di farsi uomo e morire per me.

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“Space Festival 2023” a Torino

Torino va in orbita grazie all’unico evento pop in italia interamente dedicato allo spazio e all’astronomia: space festival 2023


Torino va in orbita grazie all’unico evento pop in Italia interamente dedicato allo spazio e all’astronomia: Space Festival 2023. A essere coinvolte sono diverse sedi della città per una cinquantina di appuntamenti:

  • incontri divulgativi dedicati al ritorno delle missioni lunari;
  • prospettive del turismo spaziale;
  • ruolo delle donne impegnate in ambito scientifico-tecnologico;
  • conferenze sull’industria piemontese e il suo importante apporto ai progetti satellitari ed esplorativi;
  • proiezioni di film e presentazione di libri spiegati e commentati da esperti del settore;
  • visite guidate in alcune delle realtà aziendali dell’aerospazio più rappresentative;
  •  esposizioni di prototipi e aeromodelli;
  • mostre fotografiche;
  • spettacoli dal vivo;
  • momenti esperienziali con l’utilizzo di realtà virtuale, robot e droni.

Tutto questo e molto altro nel ricco programma di quattro giornate interamente dedicate allo spazio e all’astronomia attraverso un coinvolgente mix tra gioco, scienza e fantascienza.

Inoltre, lo Space Festival intende rafforzare la leadership nazionale di Torino e del Piemonte nell’ambito dell’aerospazio e valorizzarne, quale componente sempre più rilevante nel sistema economico locale, il relativo ecosistema industriale, costituito da più di 300 aziende e poli di ricerca sull’aerospazio tra i più importanti al mondo.

La manifestazione ha affidato la sua direzione artistica a Marco Berry, showman e autore televisivo con una lunga esperienza nel settore, artefice di un programma pensato per avvicinare il pubblico al mondo delle scienze astronomiche e dell’esplorazione spaziale.

Tra gli ospiti molti esperti e volti noti, tra cui: gli astronauti Maurizio Cheli e Paolo Nespoli; l’astrofisico Roberto BattistonDon Luca Peyron, sacerdote della Diocesi di Torino e fondatore del primo apostolato digitale in Italia; Luca Cableri, gallerista e appassionato di collezionismo spaziale; Adrian Fartade, divulgatore scientifico, youtuber e scrittore di astronomia e astronautica; Walter Cugno, Vice Presidente del Dominio Esplorazione e Scienza di Thales Alenia Space e Responsabile del Sito aziendale di Torino; Vincenzo Giorgio, Amministratore Delegato di Altec; Steve Della Casa, critico cinematografico ed ex direttore artistico del Torino Film Festival.

Per consultare il programma e iscriversi agli eventi: qui.

Il parroco con un telescopio sul tetto della chiesa

Al Torino Space Festival (4-7 maggio) don Peyron racconta la sua storia di astrofilo tra scienza e fede. Quando nel Seicento per qualche decennio le costellazioni pagane furono cristianizzate


Siamo così disabituati a vederlo, che un cielo gremito di stelle lascia sgomenti. Nel buio profondo di remoti luoghi di montagna, l’universo ci sovrasta in modo schiacciante. Un binocolo che in ogni direzione moltiplica per dieci quelle stelle, dà le vertigini.

Senti che l’infinito ti avvolge. Affiorano domande. Perché tutto questo sfolgorio di astri? Chi sono, che ci faccio qui al cospetto dell’eternità? Siamo soli o intorno a quelle stelle pullulano altre forme di vita?

Emozioni altrettanto forti si provano puntando un piccolo telescopio sulla Luna: ci sembrerà di volare sopra montagne, crateri, pianure, crepacci, picchi dalle ombre taglienti. Poi verranno le notti di Giove e dei suoi quattro satelliti che nel gennaio 1610 sorpresero Galileo: un sistema solare in miniatura.

Le notti degli anelli di Saturno e, in inverno, della nebulosa M42 nella costellazione di Orione, dove nuove stelle stanno nascendo. E poi il Sole, le nebulose planetarie, la luce silenziosa della Stazione Spaziale che ospita sette astronauti e orbita alla velocità di 27 mila chilometri l’ora.

Con l’astronauta Paolo Nespoli

E’ il percorso che Luca Peyron traccia nel libro «Cieli sereni» appena pubblicato nelle edizioni San Paolo (160 pagine, 15 euro). Lo presenterà giovedì, ore 17, a Torino nell’aula magna della Cavallerizza nel giorno di apertura dello Space Festival (4-7 maggio). Prima di lui, Adrian Fartade, youtuber e divulgatore scientifico rumeno; dopo di lui Paolo Nespoli, astronauta che detiene il record italiano di 330 giorni in orbita sulla Stazione Spaziale.

Cinquant’anni, sacerdote dal 2007, laurea in giurisprudenza, parroco della Madonna di Pompei, don Peyron si è fatto un osservatorio sul tetto della chiesa in via San Secondo 90. Vocazione astronomica tardiva, ha bruciato le tappe.

Partito pochi anni fa con un piccolo ma ottimo telescopio Maksutov da 10 centimetri di apertura, ora ne usa uno da 23 centimetri che raccoglie sei volte più luce e gli permette di scattare fotografie eccezionali, incredibili per il cielo di Torino sbiancato dall’inquinamento luminoso.

Per fortuna l’elaborazione informatica fa miracoli anche senza ricorrere al soprannaturale: don Peyron coordina il servizio per l’apostolato digitale, insegna al Politecnico di Torino e fa parte del Consiglio scientifico dello Humane Technology Lab dell’Università cattolica di Milano.

Una iniziazione

Il libro di don Peyron è la storia di una iniziazione all’astronomia vissuta con il batticuore e con il pensiero alla fede che offre le sue risposte ai grandi interrogativi esistenziali sollevati dalla contemplazione astronomica.

Nel 1627 l’astronomo gesuita Julius Schiller pubblicò ad Augusta il “Coelum Stellatum Christianum”. Era la risposta all’antica astronomia della mitologia pagana e alla nuova astronomia copernicana che sei anni dopo porterà Galileo al confino di Arcetri. Eppure Schiller non adottò le posizioni stellari di Tolomeo e Ipparco ma quelle misurate da Tycho Brahe e da Keplero, un atto a modo suo rivoluzionario.

Per qualche decennio le costellazioni rappresentarono simboli cristiani (disegno in alto) e i segni dello zodiaco presero il nome di santi: Pietro al posto dell’Ariete, Andrea per il Toro, Giovanni Evangelista per il Cancro, Matteo per il Sagittario, Giacomo Maggiore per i Gemelli e Giacomo Minore per la Vergine.

Pianeti ribattezzati

Anche i pianeti furono ribattezzati: Mercurio diventa Elia di Tisbi, Venere Giovanni Battista, Marte Giosuè, Giove Mosè, Saturno Adamo, la Luna Maria Vergine, il Sole Cristo Re. La riforma riguardò anche tutte le costellazioni boreali e australi: la Nave Argo diventa l’Arca di Noè, la Chioma di Berenice il Flagello di Cristo, Cassiopea Maria Maddalena, Ercole I tre Re Santi, il Cigno la Santa Croce, Andromeda il Sepolcro di Cristo, Pegaso l’Arcangelo Gabriele, l’Orsa Maggiore la Barca di Pietro, la Minore San Michele.

Il cartografo tedesco Andreas Cellarius rilanciò la toponomastica cattolica nell’”Atlas coelestis seu Harmonia Cosmica” del 1661 e il veneziano costruttore di globi terrestri e astronomici Vincenzo Maria Coronelli nella “Epitome Cosmografica” del 1693. Ma il cielo cattolico non riuscì a imporsi. Troppo artificiale e “politica” l’operazione, troppo radicata la mitologia classica. D’altra parte diciamo ancora che il Sole sorge e tramonta, non che la Terra gira.

Bellezza estetica e spirituale

Oggi il cielo, in particolare lo spazio circumterrestre, dovrebbe essere di tutti, ma di questo bene comune stanno impossessandosi le multinazionali di Elon Musk e Jeff Bezos lanciando migliaia di satelliti per vendere Internet (anch’essa nata come bene comune). Quei satelliti tracciano graffi e sfregi sulle foto astronomiche. Forse Don Peyron in questo inizio di millennio ha preso per la coda la bellezza estetica e spirituale del cielo, chissà se potranno farlo le prossime generazioni.

Tecnologie emergenti e persona umana: il codice dei codici, la Bibbia, in soccorso di chi crea il codice?

 

Mercoledì 3 Maggio 2023 - 12.00 - 13.30

 

presso: Aula E4, Campus Luigi Einaudi - Lungo Dora Siena 100 - Torino

Riflessioni sul tema Tecnologie emergenti e persona umana: il codice dei codici, la Bibbia, in soccorso di chi crea il codice?

Lecturer
Don Luca Peyron
Università Cattolica del Sacro Cuore
IUSTO - Rebaudengo
 
Presiede
Paolo Caraffini
Università degli Studi di Torino,
Centro di Eccellenza Jean Monnet "Artificial Intelligence for European Integration"
 
 
Qui per seguire online su webex

Quale educazione nei nuovi scenari culturali digitali?

 

Venerdì 12 maggio 2023 ore 10.00 - 13.00

La Commissione Episcopale della CEI per l'educazione cattolica, la scuola e l'università promuove un seminario di studio, in collaborazione con l'Arcidiocesi di Torino e in partnership con l'Università di Torino.


La Chiesa Universale e le Chiese che sono in Italia stanno vivendo un processo di ascolto - detto sinodale - sia al proprio interno sia della società nel suo complesso. Una particolare attenzione è rivolta ai molteplici ambiti dell’educazione e ai luoghi della cultura (scuola, università, ricerca) con l’obiettivo di aiutare le comunità cristiane a mettersi in ascolto di ciò che proviene da questi ambienti di vita e dalle persone che operano in essi. In particolare, è di grande interesse pensare insieme ed ascoltarci a partire da una domanda cruciale: quale educazione nei nuovi scenari culturali digitali? Nell’attuale scenario ci interroga il crescente disagio e lo smarrimento dei giovani, così come l’aumento delle disuguaglianze in ambito educativo.

L'appuntamento è per venerdì 12 maggio 2023 a Torino, dalle ore 10,00 alle 13,00, presso l’Auditorium Palazzetto Aldo Moro, Via Sant'Ottavio, 1.

L'ingresso è libero.

Di seguito il programma:

  • Saluti istituzionali.
  • Saluto introduttivo di S. E. mons. Roberto REPOLE, Arcivescovo di Torino e vescovo di Susa.
  • Intervento del prof. Juan Carlos DE MARTIN, Ordinario di ingegneria informatica e co-direttore del Centro Nexa su Internet e Società; Vice Rettore per la cultura e la comunicazione del Politecnico di Torino.
  • Intervento del prof. Giuseppe RIVA, Ordinario di Psicologia generale e Psicologia della Comunicazione - Direttore dello Humane Technology Lab - Università Cattolica del Sacro Cuore.
  • Intervento della prof.ssa Marina MARCHISIO, Ordinario di Matematiche Complementari. Esperta di didattica di emergenza e di didattica digitale integrata - Università di Torino; Delegata del Rettore per lo sviluppo e la promozione delle strategie di Digital Education dell'Ateneo.
  • Domande e discussione con il pubblico.
  • Conclusioni a cura della prof.ssa Barbara BRUSCHI, Ordinario di Tecnologie dell'istruzione e dell'apprendimento - Vice Rettrice alla didattica - Università di Torino e di S. E. mons. Claudio GIULIODORI, Presidente della Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università della CEI.
  • Modera il prof. don Luca PEYRON, Direttore della pastorale universitaria e del servizio per l'apostolato digitale dell'Arcidiocesi di Torino; Università Cattolica del Sacro Cuore – IUSTO.

Qui per leggere la locandina dell'iniziativa!