Don Peyron: "Tempo di nuove opportunità per Torino"

Don Luca Peyron, referente della Pastorale universitaria della diocesi di Torino e coordinatore del Servizio per l’Apostolato digitale, nel corso di un incontro organizzato dall’Unione Industriali di Torino ha lanciato un appello: "Tecnologia e umanità devono parlarsi. Torino ha grandi opportunità". 





CONVEGNO: LAVORO, ETICA, INTELLIGENZA ARTIFICIALE. Noi e loro: etica e intelligenza delle macchine

 giovedì 10 ottobre

Torino
Aula magna del Liceo Classico “V. Alfieri”
Corso Dante, 80

Il convegno intende inserirsi nel dibattito riguardante l'intelligenza artificiale, l'etica e le tecnologie digitali in particolare per favorire una migliore comprensione degli aspetti che riguardano il modificarsi della concezione del mondo, della vita, e della posizione in esso occupata dall’uomo; aspetti che, in maniera del tutto evidente, sono fortemente condizionati dalla rivoluzione tecnologica in corso.

PROGRAMMA

9 - 9.30   Accoglienza e registrazione partecipanti

9.30 – 13   Prima sessione

Intelligenza artificiale: scienza o magia?

Introduce e modera: Giovanni Ferrero
Interventi di:
• Stefano Frache:

Tra scienza e fantascienza: rappresentazioni mediatiche dell’IA
• Pietro Terna:

Dialoghiamo con ChatGPT per capire come funziona, con l’aiuto del pubblico
• Angelo Saccà:

L’IA nei processi di comunicazione digitale
• Giuseppe Anerdi:

Robotica e IA

13 - 14.30   Intervallo

14.30 – 18   Seconda sessione

Tavola rotonda: Etica e tecnologie digitali

Introduce e modera: Pietro Bizzotto
Interventi di:
• Simona Borello
• Paola De Faveri
• Simone Natale
• Don Luca Peyron
Conclusioni: Ilenya Goss

Qui per scaricare la locandina 

I cieli narrano. Via Lattea, le nuove osservazioni dei Pilastri della Creazione

 Per ritrovare Dio e provare una grande gioia, si può percorrere la strada della bellezza e della meraviglia

Per uccidere Dio è necessario che non abbia apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Per ritrovare Dio, al contrario, e provare una grande gioia, si può percorrere la strada della bellezza e della meraviglia. Quella dei magi e secoli prima il roveto che brucia e non si consuma. La via della bellezza è quella del desiderio di equilibrio ed il bisogno di intimità. Lo stupore che genera, il fascino che trascina.

L’armonia che spegne le parole e lascia il posto al silenzio che contempla. In tempo di guerra e morte, continuiamo a cercare vita e risurrezione in un santuario non fatto da mani d’uomo. Così lontano che non si possa deturpare o profanare, ma tuttavia così vicino che splendore e maestà che stanno davanti a Lui possano stare anche davanti a noi. Ristabilire il nostro cuore, rigenerare la nostra speranza. Un mondo altro che ci rimetta al nostro posto in questo mondo scaltro che fatica ad essere a misura d’umano.

Esploriamo quel nastro di stelle, polveri e nebulose che è la Via Lattea per incontrare insieme “I Pilastri della Creazione”, una delle strutture più iconiche e spettacolari nello spazio, situate all'interno della Nebulosa Aquila (M16), a circa 7.000 anni luce dalla Terra. I pilastri sono gigantesche colonne di gas e polveri, alte diversi anni luce, in cui avviene la formazione di nuove stelle.

Sono diventati uno degli obiettivi più iconici degli astrofotografi e degli appassionati da quando nel 1995 il telescopio spaziale Hubble ne ha rivelato il dettaglio, mostrando un processo di nascita stellare all'interno di una nube molecolare. I pilastri sono composti principalmente di idrogeno e polveri interstellari e sono scolpiti dalla potente radiazione e dai venti stellari provenienti dai corpi vicini. Le nuove immagini forniti dal successore di Hubble, il telescopio James Webb, regalano ulteriori emozioni. Ma anche una fotografia amatoriale è capace di restituirci quel fascino.

Una regione di formazione stellare è un ambiente cosmico composto principalmente da idrogeno molecolare, insieme a elio, polvere cosmica e tracce di altri elementi più pesanti ove si verificano i processi necessari per la nascita di nuove stelle.

Il processo inizia quando una parte di una nube molecolare diventa instabile e inizia a collassare sotto la propria gravità. Man mano che il gas si addensa, la temperatura e la pressione al suo interno aumentano, portando alla formazione di un nucleo protostellare. Questo nucleo continua ad accumulare massa dalla nube circostante, fino a raggiungere le condizioni necessarie per l'inizio delle reazioni di fusione nucleare nel suo interno, segnando la nascita di una nuova stella e di sistemi planetari. Il materiale residuo che non viene incorporato nella stella centrale infatti può dare origine, attraverso processi di accrescimento successivi, a pianeti, lune, asteroidi e comete.

I Pilastri della Creazione sono dunque un grembo in cui nasce nuova vita cosmica a partire dai resti di quanto già esisteva ed è collassato, il tutto innescato da una instabilità determinata da onde d'urto provenienti da supernove vicine, interazioni tra galassie o l'influenza di altre stelle.

I Pilastri ci ricordano che ogni stella nasce da un incontro, da una forza nuova che investe materia antica apparentemente senza futuro. Quanta materia inerte, quanti corpi vivi ma senza vita, quanti cuori freddi anche se battono, hanno bisogno della nostra gravità, della nostra densità, della nostra presenza. Come in cielo, ancora una volta, così in terra.


Qui il post originale

Accoltellato per un like. Non riduciamo un delitto a un errore di sistema

Sul caso del tredicenne di Recco: ognuno di noi è l’esito di tutte le relazioni che ha maturato nella sua esistenza a casa, a scuola, nei luoghi di aggregazione. E da oggi on line. I giovani non sono macchine da resettare in caso di malfunzionamento, le persone non sono ricondizionabili come un telefono cellulare


Un ragazzino di 13 anni di Recco ha accoltellato un 14enne alla gamba, all'addome e a un fianco a Sori, nella città metropolitana di Genova. Così riporta l’ANSA. Le ragioni? Quelle sbagliate, ma purtroppo di sempre, le attenzioni ritenute inopportune, nei confronti di una ragazza. Quello che è nuovo rispetto al passato, e ci fa approdare dal conosciuto al territorio della modernità digitale, è la molla che ha fatto reagire il giovanissimo: un like messo alla foto dell'ex fidanzatina del tredicenne.


Cosa possiamo imparare dal sangue versato? Ogni volta che la nera ci scuote, torna il tema dell’educazione affettiva. L’educazione è una materia che si insegna? Gli affetti sono come la storia, la geografia, la matematica? Bisogna reagire, ma il semplice inserire l’educazione affettiva tra le materie scolastiche nasconde una comprensione fuorviata dell’essere umano, influenzata dalla cultura tecnica che ci avvolge. Se la macchina non funziona si ripara, se la macchina sbaglia correggiamo l’errore di programmazione così che non sbagli più. Accostare umano e macchina, come ci spinge il continuo uso di caratteri antropomorfi nella descrizione della macchina (intelligente, generativa) crea una cultura fuorviante.


Una persona non funziona. E non ha delle funzioni. È vero che abbiamo “pezzi di ricambio” come arti o valvole, ma sono una soluzione tanto meravigliosa quanto estrema. Una corretta affettività, una capacità di stare nelle relazioni, il dominio di sé rispetto alle pulsioni dell’istinto, la capacità di contemperare le spinte dei desideri con la dignità dell’altro, non sono una routine in codice inseribile nel sistema. Ognuno di noi è l’esito di tutte le relazioni che ha maturato nella sua esistenza a casa, a scuola, nei luoghi di aggregazione. E da oggi on line. I giovani non sono macchine da resettare in caso di malfunzionamento, le persone non sono ricondizionabili come un telefono cellulare.


Di qui la seconda questione: il digitale aumenta, potenzia. Grandezza e fragilità. Se la potenza di calcolo è al servizio della propensione al controllo arriva la coltellata. Ma se la potenza di calcolo è al servizio dell’umano quale sorprese ci riservano i giovani? Tutti, non solo i minori, viviamo on life, quella zona mista tra digitale ed analogico. Quella zona mista dove sempre di più chi è adulto significativo dovrebbe abitare con pensieri, gesti, modi di essere desiderabili e umani. Il tempo trascorso on line dai giovani è tempo dell’esperienza e dell’educazione, tempo dell’imitazione e del modello. Non è pensabile demandare alla scuola quanto è responsabilità del villaggio nella sua interezza. Se desideriamo avere un futuro diverso credo che sarebbe utile rivedere alcune nostre priorità culturali, riformare alcuni scenari e narrazioni tenendo conto dello scenario tecnico. Da una parte non considerando la performance, l’efficienza, la resistenza e la stessa resilienza che sono caratteri delle macchine, come umani.

Dall’altra stando nel digitale, soprattutto ascoltandolo e abitandolo, portando acqua pura nel fiume troppo spesso di melma che vi scorre. Chi ha ricevuto molto deve sentire il dovere di restituire altrettanto, anche on line, non per mostrarsi o dimostrarsi, ma per esserci, a presidio di un umano possibile e felice. Diversamente riduciamo la morale e l’etica a forma e funzione. Ed il delitto, anche il più atroce, a un errore di sistema. Che si resetta, che si immagina reversibile. Un incidente in una partita, in attesa di farne un’altra, usando altre vite. Ma la vita non è un gioco. Dimenticarlo ci espone al rischio che diventi tragedia. Da seppellire con l’ennesimo reel. 


Qui il post originale

La bellezza della notte di San Lorenzo: non solo stelle cadenti

Oggi alla Finestra del Papa ci siamo collegato con Parigi dove si stanno svolgendo i Giochi Olimpici e ne abbiamo parlato con Alessio Franchina, responsabile comunicazione e innovazione tecnologica del Centro Sportivo Italiano. E poi abbiamo spiegato insieme a Don Luca Peyron il significato della notte di San Lorenzo e cosa astonomicamente succede nei cieli in questo periodo dell'anno. Conduce Marina Tomarro

Qui per ascoltare il podcast

I cieli narrano. Il triangolo di stelle delle notti d’estate e il “messaggio” di Dio

 Alziamo lo sguardo per imparare a leggere nel firmamento notturno il posizionarsi sempre nuovo degli astri. E per saper cogliere, contemplando, quel che il Creatore ha da dirci per loro tramite

Don Luca Peyron, sacerdote della diocesi di Torino, dov'è parroco e responsabile della Pastorale universitaria, è anche appassionato astroflio: sono famose le sue osservazioni del cielo con telescopio dal tetto della sua parrocchia torinese. Autore del libro "Cieli sereni. Trovare Cristo seguendo le stelle (e con l'uso del telescopio)" (San Paolo), ci aiuta in questa sua serie di articoli per Avvenire.it a osservare il cielo sopra di noi, e nel nostro cuore.

Il Salmo 18 invita con perentorietà ad innalzare lo sguardo perché lassù, in quello che sembra nero o color inquinamento, i cieli narrano la gloria di Dio.

Ignorare la Scrittura è ignorare Cristo, possiamo dire che ignorare il cielo è ignorare Cristo? Forse è troppo, ma se una bellezza salverà il mondo allora c’è bellezza oltre questo mondo che non aspetta altro che collaborare alla nostra salvezza. Kosmos in greco significa tanto universo quanto ornamento, cogliamo l’ornamento dunque per comprendere meglio l’universo, il nostro posto, la nostra chiamata. Cogliamo l’amore che ci predilige così tanto da lasciarsi sfigurare, ma che nello stesso tempo balza per colline e dirupi dello spazio profondo per dipingere miliardi di anni luce di colori e forme di ogni sorta. Per dirsi Creatore, della terra perché del Cielo. Per dirsi Padre perché sta nei cieli. Fede e astronomia, per guardare con occhio più consapevole al di là di una finestra, dopo un tramonto, magari con un binocolo. Un giorno forse con un telescopio. In ogni caso in ascolto di Colui che fece le Pleiadi ed Orione, Colui che ha dato alla Vergine Madre che celebriamo in agosto un trono ed un manto di stelle.

In queste notti il cielo si adorna con uno dei più celebri asterismi: il triangolo estivo. Questo insieme è formato da tre stelle di primo piano, ciascuna residente in una costellazione distinta: Vega, Deneb e Altair. La brillante Vega troneggia nella costellazione della Lira, evidenziata da un parallelogramma di stelle di luminosità notevole che ne facilita l’identificazione. Scendendo nel cielo si incontra Deneb, il cui nome arabo significa “coda” e che segna la terminazione del Cigno. Infine, Altair si trova nell’Aquila, posizionandosi bassa sull’orizzonte nelle prime ore di buio dopo il crepuscolo.

L’apparizione di questo triangolo sul lato orientale del cielo segnala l’arrivo dell’estate astronomica. Man mano che le notti avanzano, l’asterismo sale sempre più alto nel firmamento, raggiungendo il punto più elevato durante il culmine dell'estate, in questi giorni dunque, per poi scendere verso l'orizzonte occidentale con l'approssimarsi della fine dell'autunno.
In verità, quelle stelle, la luce di quelle e di tutte le stelle, non esiste. Esistono delle onde elettromagnetiche, delle particelle che abbiamo chiamato fotoni e viaggiano alla velocità della luce. Ma il firmamento è avvolto in un'oscurità totale, è un universo immerso nel buio. L'esistenza della luce è condizionata dalla presenza di occhi e di un cervello capaci di convertire quelle onde elettromagnetiche in percezioni di luce. Il cervello umano fa questo. Le onde elettromagnetiche, per loro conto, non sono sinonimo di luce: il cosmo è immerso nelle tenebre e nel silenzio, poiché l'assenza di atmosfera equivale all'assenza di suoni. È solo con l'emergere dell'essere umano, capace non solo di vedere ma anche di interpretare queste luci attraverso le generazioni, che il cosmo si “illumina” e “parla”.

Esiste il firmamento perché esiste l’essere umano. I cieli narrano la gloria di Dio perché l’essere umano vivente – come scriveva sant'Ireneo di Lione – è la gloria di Dio. Sì, siamo meglio di quello che raccontano le cronache, più di una medaglia e delle sue polemiche.


Qui il post originale

Gli orizzonti dell’intelligenza artificiale

È parte delle nostre esistenze, professionali e familiari. È contemporaneamente driver di sviluppo e generatrice di ansie più o meno latenti. Protagonista indiscussa e continuativa delle pagine dei giornali e dei piani di aziende di ogni calibro. Più che una tecnologia ormai un mantra, uno spauracchio, spesso un hype. Per qualcuno una bolla e un’allucinazione molto simile a quelle, le allucinazioni, che ogni tanto restituisce ai suoi utenti. L’intelligenza artificiale o AI per dirla con un acrostico anglofono. Comunque la si pensi e la si consideri l’AI non è più solo un artefatto tecnologico, ma una cultura. Questo la trasforma da mezzo in fine, da strumento ad ambiente. Da elemento di interesse per specialisti a questione che investe la società nel suo complesso.

Di qui l’interesse di molti che normalmente non se ne occuperebbero, di qui anche l’interesse, il prendere parola e l’animare processi da parte della Chiesa Cattolica. In questo senso è significativo ed iconico il fatto che Papa Francesco abbia desiderato partecipare, primo Pontefice romano nella storia, ad una sessione del G7 condividendo con i leader mondiali convenuti una riflessione proprio sull’intelligenza artificiale. Quali brevi considerazioni possiamo condividere in questo spazio? Mi pare tre elementi fondamentali.

Il primo è che la velocità di questa tecnologia debba essere considerata con molta attenzione. Per velocità intendo la capacità di restituire risultati di un modello di AI, ma soprattutto la velocità con cui modelli nuovi ne sostituiscono altri, nuove funzionalità sorpassano le precedenti seguendo una curva di sviluppo che, almeno per ora, sembra poter essere arrestata o rallentata solo dalle risorse che possono essere messe in campo: quantità di daticapacità computazionaleenergia disponibile. La velocità ci restituisce la consapevolezza che l’intelligenza artificiale non possa essere governata dal legislatore, nazionale o sovranazionale che sia. L’AI Act dell’Unione Europea piuttosto che le legislazioni nazionali o gli eventuali regolamenti possono disegnare qualche cornice; tuttavia, rischiano di diventare molto velocemente desueti e quindi inutili se non dannosi, certamente inefficaci rispetto ai fini previsti ed auspicati. La soluzione che intravvedo non è quella, dunque, del far west, del libero esercizio in attesa di mettere cerotti in presenza di eventuali danni come, ad esempio nella galassia di common law dei Paesi anglosassoni. Le mutazioni sociali ed economiche, i danni concreti e le sperequazioni che tali sistemi sono in grado di generare non permettono un terremoto incontrollato e per giunta accettato e accolto consapevolmente. Il secondo elemento è democratico. L’intelligenza artificiale è un potere di tipo computazionale che è sostanzialmente in mano a pochissimi soggetti nel mondo. Siamo di fronte per la prima volta nella storia a un oligopolio mondiale assolutamente inscalabile e, per ragioni di fatto geopolitiche e geostrategiche, politicamente protetto. Che il mondo sia di fatto governato da poche imprese sembra una distopia dei film degli anni ’90 del secolo scorso, ma è quanto sta accadendo. Taluni giuristi hanno addirittura definito questo scenario come neofeudale.

Il terzo elemento è la vita delle persone: la velocità del cambiamento rende quasi impossibile alle organizzazioni e ai singoli di avere la capacità plastica di adeguarsi a quanto accade. Non è certamente l’uso distorto di termini trasposti da altri domini, come resilienza, la soluzione. Non siamo una barra di ghisa. Perché debbo pensare a me stesso e all’organizzazione di cui ho la responsabilità in termini della metalmeccanica, ma non dell’antropologia? Posti questi elementi di scenario, quale orizzonte è possibile proporre? Un orizzonte, appunto. Anziché una rincorsa propongo un obbiettivo. Comune, antropologicamente auspicabile. Se l’AI toglie fatica, ebbene questa fatica deve essere sempre di più orientata non all’efficienza e all’efficacia dei sistemi, elementi scontati perché insiti nel fatto tecnico, ma alla realizzazione della vocazione umana.

Possiamo immaginare di costruire un sistema sociale e d’impresa in cui il rapporto umano-macchina abbia come orizzonte la maggiore e migliore umanizzazione dell’essere umano nell’uso delle macchine? Può l’AI, correttamente progettata, implementata e usata, restituire un io più umano, umanizzato da relazioni più umane, umanizzato da un ambiente che umanizza e non distorce, “macchinizza”, de-umanizza? Dato il fine ultimo, condiviso con i consociati, creando una cultura e una consapevolezza che determinano un consenso condiviso, possiamo legittimamente correre tutti verso una direzione in cui accanto al profitto fiorisca l’essere umano, lasciando alla macchina il compito di servire e all’essere umano quello di vivere. In un’alleanza che guarda a uno sbocco profetico di questo tempo confuso ma ordinabile.

Qui il post originale