Città Nuova - Era il 12 marzo 1989 quando Tim Berners-Lee presentava al Cern di
Ginevra il progetto che ha dato avvio al Web, che fu alla base di
Internet e oggi della rivoluzione digitale. Don Luca Peyron, sacerdote
della Diocesi di Torino e autore di “Incarnazione digitale” (Elledicì)
ci aiuta a tracciare una strada futura sulla reale possibilità di
custodire l’umano dentro alla rivoluzione digitale in cui siamo immersi
quotidianamente.
Don Luca, il termine infosfera non indica solo gli
strumenti digitali che ogni giorno utilizziamo, ma un vero e proprio
spazio relazionale: quale le sembra la sfida più urgente, per l’uomo di
oggi dentro a questo nuovo ecosistema?
Le sfide sono tre:
la prima è prendere coscienza del mondo in cui viviamo, che non è
quello di ieri con qualche cambiamento. Questo non è scontato per i
nativi digitali, che sanno usare gli strumenti ma sanno fino ad un certo
punto cosa c’è dietro, ma neanche per chi è nato “analogico” e non si
rende conto di quanto questo significhi nel concreto delle nostre
esistenze, e che l’ambiente digitale non sono i social e due siti, ma
molto di più. La seconda sfida è culturale e politica: come ci
posizioniamo, come scegliamo che cosa questo mondo è e sarà? L’infosfera
è qualcosa che stiamo costruendo noi e siamo noi che dobbiamo decidere
ed essere consapevoli di come, per chi e per cosa la costruiamo. La
terza questione è decidere dove vogliamo andare rispetto alla centralità
della persona umana: non tutto ciò che si può fare, siccome si può
fare, ha un carattere veritativo. Non dobbiamo avere paura, ma dobbiamo
avere ben chiaro un obiettivo e un orizzonte che ci permetta di non
trovarci una mattina in un posto senza sapere come ci siamo arrivati.
Come
responsabile della pastorale universitaria del Piemonte e docente
dell’Università Cattolica di Milano ha modo di entrare nella vita
quotidiana di quelli che oggi chiamiamo “nativi digitali”, spesso
descritti come superficiali, disattenti, narcisisti. Le sembra che
questi termini li raccontino per quello che realmente sono o c’è di più?
Noi giudichiamo questa generazione a partire dalla
differenza che vediamo tra quello che noi eravamo e quello che loro
sono. Se notiamo dei ragazzi sulla metro con il cellulare in mano li
critichiamo, ma noi in mano avevamo il quotidiano: non c’è differenza.
Critichiamo le nuove generazioni perché hanno l’attitudine ad utilizzare
strumenti che a noi fanno paura, e ciò che fa paura viene
stigmatizzato. Facciamo più fatica a capirli di quanto ogni generazione
passata ha fatto fatica a capire la successiva perché il salto è molto
più ampio, ma questa generazione è molto di più di queste etichette.
Molto del negativo se l’è trovato costruito da noi: abbiamo chiesto loro
di essere dei clienti e dei consumatori più che delle persone, gli
stiamo proponendo un’adultità non desiderabile copiando la loro
giovinezza, invece che raccontare un’adultità che vale la pena vivere.
Per questo è sempre più necessario un dialogo dove interessa ciò che
l’altro pensa, e partendo da quello dare una risposta per generare
qualcosa di nuovo che appartiene a ciascuno dei due.
Nel
tuo saggio scrivi: «L’architettura dell’infosfera sta contribuendo a
illudere la coscienza del conoscere, facendo venir meno il desiderio di
verità». Quali sono gli elementi dell’esperienza cristiana che possono
aiutarci a vivere una vera incarnazione digitale?
Sono
due elementi che fanno parte dell’esperienza cristiana che possono
essere sostanziali e sostanzianti. Il primo è il tempo. Il Dio eterno
sceglie di farsi uomo in un tempo, sceglie di darsi un tempo e di
manifestarsi come Dio dopo un tempo molto lungo. Nel diluvio di
informazioni di oggi abbiamo bisogno di un tempo congruo per scegliere,
discernere, ragionare, decidere, per assumere una postura verso la
realtà. Non dobbiamo entrare in competizione con le macchine ed essere
più veloci di loro: la loro velocità ci restituisce del tempo che
dobbiamo utilizzare per esprimere la differenza. Il secondo aspetto è la
dimensione del silenzio. Nella vita di Gesù ci sono tanti momenti di
silenzio con il Padre. Per noi può essere la nostra interiorità, che
serve per portare a compimento il tanto, il bello, il buono e il vero
che questo tempo ha. Dobbiamo riappropriarci di un tempo di mistica, di
silenzio informativo, in cui far risuonare dentro di noi quello che è
davvero importante per poter dare risposte che non siano solo emotive.
Quello
dell’Intelligenza Artificiale è un tema con cui dovremo inevitabilmente
prendere confidenza. Credi che il nostro destino sia quello di essere
sostituiti dalle macchine e dagli algoritmi?
Questo
dipende da che tipo di mondo decidiamo di abitare e dalla coscienza che
abbiamo o non abbiamo rispetto a quello che ci sta accadendo. Sempre più
le macchine sono in grado di appropriarsi e occupano lo spazio
cognitivo che fino ad oggi era esclusivamente umano. Ma la macchina va
nella direzione in cui noi decidiamo essa vada, e la direzione dobbiamo
darla noi. Per questo dobbiamo decidere quale è l’obiettivo da
perseguire e utilizzare le macchine per farlo. Quello che c’è in più
oggi è che le macchine stanno diventando in grado di scegliere
autonomamente una direzione: ma se permettiamo questo allora stiamo
eliminando dall’essere umano quella dimensione che gli è propria e non
replicabile, la dimensione trascendente. Decidere che questa sia la
dimensione che dà direzione al vivere e ci aiuta a disegnare il mondo in
cui viviamo non ci salverà necessariamente dalle macchine, ma ci
aiuterà ad utilizzare le macchine per accogliere la salvezza che ci è
data.
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