Premessa polemica: provo a mettere in fila alcuni motivi di
riflessione per rispondere ad una sollecitazione degli amici che frequentano la
lista del Centro Nexa, persone assai
stimabili che molto spesso mi hanno aiutato ad avere un quadro migliore delle
questioni attinenti la cultura digitale e questo presente. Dunque queste righe
non sono una risposta al filosofo, ma un attestato di stima nei loro confronti.
Sono assolutamente certo che se
ne farà una ragione, ma il fatto è che Giorgio Agamben pone una domanda
senza ragioni convincenti e dunque non potrà avere nessuna ragionevole
risposta.
Bernard Lonergan mi ha insegnato che non esiste scienza, filosofia, teologia, che non debba partire dalla realtà così come essa è e si palesa. Mi domando quale realtà vede Agamben, in quale bolla informazionale è immerso. Di qui, molto schematicamente, ciò che non funziona nella sua domanda, e che considero per molti tratti offensivo, dell'intelligenza e della verità.
Bernard Lonergan mi ha insegnato che non esiste scienza, filosofia, teologia, che non debba partire dalla realtà così come essa è e si palesa. Mi domando quale realtà vede Agamben, in quale bolla informazionale è immerso. Di qui, molto schematicamente, ciò che non funziona nella sua domanda, e che considero per molti tratti offensivo, dell'intelligenza e della verità.
1.
La premessa è errata e da una premessa errata
non può discendere alcuna risposta corretta. La premessa è che – banalizzo –
siamo di fronte ad una comune influenza. Il fatto è che non siamo di fronte “ad
una malattia” ma siamo di fronte ad “una pandemia”, ed il fatto che Agamben
abbia scelto con cura una parola anziché un’altra conferma quello che va
dicendo dall’inizio di tutto ciò, ma che non è vero solo perché lo si ribadisce
in modi diversi. Numeri, statistiche, referti etc. mi paiono sufficienti a
confutazione.
2.
I fatti con cui argomenta sono, semplicemente,
irricevibili per quello che mi riguarda. E quindi da fatti irricevibili, se non
falsi, non posso che derivare argomentazioni non argomentate. Sarebbe
interessante che fossero non solo esposti, ma almeno referenziati. Non lo
sono. Li vediamo velocemente.
a. “Come abbiamo potuto accettare, soltanto in
nome di un rischio che non era possibile precisare, che le persone che ci sono
care e degli esseri umani in generale non soltanto morissero da soli, ma che –
cosa che non era mai avvenuta prima nella storia, da Antigone a oggi – che i
loro cadaveri fossero bruciati senza un funerale?”. Affermazioni o generiche o false. Citare il
mito le rende forse eleganti, ma non migliori. Davvero sostiene che nella storia mai
si sono avuti morti senza funerali? Quali fosse comuni, purghe fasciste e
comuniste dobbiamo frequentare per confutare? Ma anche fosse vera la premessa
storica, non è vera la lettura contemporanea.
-
Le persone non sono morte totalmente da sole:
medici, infermieri, cappellani – sì quei preti che poi accusa fra qualche riga,
erano lì. È poco? Sì, è nulla? No.
-
I corpi sono stati sepolti con un funerale: ad
ognuno è stato garantito un rito funebre secondo il rituale proprio. In ogni
cimitero è presente un ministro ordinato che ha fatto il suo, alla presenza di
almeno qualche parente. Il funerale inteso in senso sociale, con la presenza di
tutti i parenti e gli amici, sarà fatto quando sarà possibile, è differito, ma
c’è. Il funerale infatti può essere fatto in presenza della salma o in assenza
della salma, nei giorni immediatamente successivi alla morte o in un tempo
successivo. Ed è funerale, tale e quale. Da ultimo il funerale inteso come
accompagnamento delle persone che a motivo della morte soffrono, viene fatto
quotidianamente da noi preti in tutte le modalità che è possibile mettere in
campo. A riprova delle mie affermazioni la mia quotidianità come quella di
tutti i preti.
b. “Abbiamo conseguentemente accettato, soltanto
in nome di un rischio che non era possibile precisare, di sospendere di fatto i
nostri rapporti di amicizia e di amore, perché il nostro prossimo era diventato
una possibile fonte di contagio”. Mi dispiace che Agamben non abbia amici
che gli scrivono, che lo chiamano. Ma il resto del mondo li ha, eccome. Molto è
cambiato, rimodulato, in affanno? Sì. Sospeso di fatto no. Perché il bisogno
relazione umano non si può semplicemente sospendere. Il traffico dati lo
dimostra con ampiezza, lo dicono i nostri giovani, i nostri adolescenti: quelli
che forse nessuno interpella da tempo e non ascolta mai. Chi era solo prima, oggi
addirittura lo è di meno: ho decine di studenti universitari che si sono fatti
carico di telefonare agli anziani soli a casa, quelli a cui prima nessuno
pensava e che oggi, finalmente, sono emersi alla generosità sociale. Non
trasformo la pandemia in una benedizione, ma ho la propensione a credere che
dalla croce nasce risurrezione.
c. “Innanzitutto la Chiesa”. Quale Chiesa?
Essendo un prete della Chiesa Cattolica rispondo per la mia, con il suo
bagaglio epistemologico e teologico. Essere generici, lo scrivo qui per non
ripeterlo di continuo, non permette alcun ragionamento o teorema minimamente
seri. Così come, lo scrivo qui per non ripeterlo dopo, fare i teologi senza
usare i termini ed i concetti corretti quale serietà suscita?
d. “facendosi ancella della scienza che è ormai
diventata la vera religione del nostro tempo”: la teologia cattolica crede
che Cristo è vero Dio e vero uomo, e discende che ciò che è autenticamente
umano è autenticamente divino o divinizzabile. Dunque la scienza e la tecnica,
come espressioni dell’umano, laddove cercano la verità e sono a servizio dello
sviluppo umano integrale sono considerate dalla Chiesa Cattolica con estremo
favore. Le Encicliche Fides et ratio e
Laudato Sì tra le ultime ci danno la
misura di come e quanto questo rapporto sia importante e nello stesso tempo
debba essere valutato. È curioso che la Chiesa, storicamente accusata di
opporsi alla scienza specialmente da Galileo in poi, sia accusata dell’esatto opposto.
e. “La Chiesa, sotto un Papa che si chiama
Francesco, ha dimenticato che Francesco abbracciava i lebbrosi”. Non mi dilungo sui dati, sono rinvenibili per
l’Italia qui.
Accusare questo pontificato di non occuparsi dei poveri e degli emarginati si
commenta da solo.
f.
“Ha
dimenticato che una delle opere della misericordia è quella di visitare gli
ammalati”: sono morti 110 sacerdoti ad oggi nel visitare gli ammalati, fate
una ricerca su google con #pretipersempre ed avrete l’aggiornamento per l’Italia.
Io da prete visito regolarmente, i cappellani ospedalieri lo fanno di continuo.
I Vescovi hanno dato mandato ai medici ed agli infermieri cattolici di
distribuire la comunione e benedire le persone. Come si fa a negarlo?
g. “Ha dimenticato che i martiri insegnano che
si deve essere disposti a sacrificare la vita piuttosto che la fede e che
rinunciare al proprio prossimo significa rinunciare alla fede”. Tacendo del
fatto che propriamente il martirio è il morire per non abiurare la propria
fede, si parla di martirio oblativo nel momento in cui si dona la propria vita
per salvare da un pericolo imminente la vita di un’altra persona. È il caso di
Salvo d’Acquisto o di Massimiliano Kolbe che offrono la propria vita perché non
vengano giustiziati altri. Dare la propria vita per amore, sino alla
possibilità del morire, non è tecnicamente martirio, ma semplicemente
cristianesimo. Ciò puntualizzato non si rinuncia alla vita in nome della fede
se è possibile conservare entrambi, diversamente saremmo nell’alveo del
suicidio dovuto ad imprudenza il che non è affatto contemperato tra le forme di
manifestazione della fede cattolica. La prudenza invece è una delle virtù
cardinali ed un dono dello Spirito Santo. La fede non comporta la ricerca di
quei metodi per perdere la vita, ma il contrario. Non risulta che nessun
cristiano abbia fatto attentati kamikaze.
Termino mettendo
in serio dubbio l’espressione “Una norma,
che affermi che si deve rinunciare al bene per salvare il bene, è altrettanto
falsa e contraddittoria di quella che, per proteggere la libertà, impone di
rinunciare alla libertà.”
Perché alludere che siamo sotto un
regime quando non lo siamo? Perché parlare di bene e libertà in modo così
generico, dimostrando che ha libertà tale da poter mistificare il bene che
vorrebbe difendere insultando l’operato di migliaia di persone e di una
istituzione come la Chiesa cattolica? Questo è scientificamente serio?
Filosoficamente accettabile? Umanamente comprensibile? Civicamente corretto?
E poi in relazione al principio del possibile contagio, cui fa ricorso Agamben, per asserire che esso non dovrebbe condizionare scelte e decisioni, in quanto, appunto, soltanto possibile. È evidente che il professore si attesta su un piano filosofico, perché se si collocasse su quello dell'evidenza scientifica non potrebbe che parlare di una possibilità reale, in quanto il contagio è effettivo.
Ora, stando allo scritto di Agamben, il possibile sarebbe un principio che non dovrebbe condizionare le scelte, perché possibile non significa che si traduca in reale. Questa affermazione è però filosoficamente parziale, perché gli è esattamente complementare il principio per cui il possibile può diventare reale. Le due possibilità, sul piano filosofico e non statistico, sono esattamente equipollenti. Se qualcosa può essere, può allo stesso tempo non essere; e resterà tale finché non sarà di fatto. Filosoficamente parlando, non vedo perché una delle due opzioni sia da avvalorare maggiormente rispetto alla sua alternativa.
Applicando il principio al caso specifico, io dovrei decidere se compiere una scelta o meno sulla base di un possibile contagio. Nella linea parziale adottata da Agamben, io sceglierei di trascurare la possibilità del contagio, perché esso non è ancora avvenuto; ma questa condotta è miope, perché la mia scelta può equivalentemente aprirsi al contagio ed effettivamente realizzarlo. Per cui, il principio parziale adottato non soddisfa le esigenze della scelta, perché non soddisfa adeguatamente le esigenze della ragione.
In conclusione, sostenere che un contagio, perché solo possibile teoricamente, debba essere sminuito della sua possibilità reale, è un'operazione di arbitraria cesura di metà della possibilità stessa, che ha sul piano filosofico il medesimo ed equipollente peso dell'altra metà. Inoltre, tale posizione sembra incappare in una contraddizione in termini (un possibile tale solo per metà) e si riveste dell'apparenza di un sofisma. Ma il metodo in filosofia ci aiuta a migliorare le nostre posizioni, grazie al concorso degli interlocutori e alla dialettica di obiezioni e controbiezioni
E poi in relazione al principio del possibile contagio, cui fa ricorso Agamben, per asserire che esso non dovrebbe condizionare scelte e decisioni, in quanto, appunto, soltanto possibile. È evidente che il professore si attesta su un piano filosofico, perché se si collocasse su quello dell'evidenza scientifica non potrebbe che parlare di una possibilità reale, in quanto il contagio è effettivo.
Ora, stando allo scritto di Agamben, il possibile sarebbe un principio che non dovrebbe condizionare le scelte, perché possibile non significa che si traduca in reale. Questa affermazione è però filosoficamente parziale, perché gli è esattamente complementare il principio per cui il possibile può diventare reale. Le due possibilità, sul piano filosofico e non statistico, sono esattamente equipollenti. Se qualcosa può essere, può allo stesso tempo non essere; e resterà tale finché non sarà di fatto. Filosoficamente parlando, non vedo perché una delle due opzioni sia da avvalorare maggiormente rispetto alla sua alternativa.
Applicando il principio al caso specifico, io dovrei decidere se compiere una scelta o meno sulla base di un possibile contagio. Nella linea parziale adottata da Agamben, io sceglierei di trascurare la possibilità del contagio, perché esso non è ancora avvenuto; ma questa condotta è miope, perché la mia scelta può equivalentemente aprirsi al contagio ed effettivamente realizzarlo. Per cui, il principio parziale adottato non soddisfa le esigenze della scelta, perché non soddisfa adeguatamente le esigenze della ragione.
In conclusione, sostenere che un contagio, perché solo possibile teoricamente, debba essere sminuito della sua possibilità reale, è un'operazione di arbitraria cesura di metà della possibilità stessa, che ha sul piano filosofico il medesimo ed equipollente peso dell'altra metà. Inoltre, tale posizione sembra incappare in una contraddizione in termini (un possibile tale solo per metà) e si riveste dell'apparenza di un sofisma. Ma il metodo in filosofia ci aiuta a migliorare le nostre posizioni, grazie al concorso degli interlocutori e alla dialettica di obiezioni e controbiezioni
Ora
è chiaro che riflettere sul prezzo pagato alla tutela dei più fragili sia
lecito. Lecito è anche chiedersi fino a quando potremmo sostenere il peso di
questi tempi difficili. Ma il punto è avere il coraggio di affrontare la
difficoltà di capire quale sia una percentuale di rischio ragionevolmente
accettabile (dato che la vita è sempre rischiosa). Per come la vedo io, oggi
stiamo proteggendo (soprattutto) gli anziani fragili facendone pagare il prezzo
più alto (oltre che all'economia) ai più giovani. In una stagione dove i mesi
valgono anni, non potersi innamorare e abbracciare, non poter esplorare il
nuovo, ecc. hanno un peso molto maggiore di quanto non accada per noi adulti.
Noi mi pare, però, che per loro ci sia grande attenzione. Neppure da Agamben. Il
buon Maritain parlava del bene storicamente realizzabile entro condizioni che
non si scelgono. Luigi Alici, invece, è solito ricordare che l'ottimo è nemico
del bene, nel senso che se si rincorre l'ideale si finisce per non fare nulla;
a volte ci vuole un gran coraggio per accettare di poter fare "solo"
il massimo bene possibile entro condizioni sub-ottimali. Senza polemizzare in
modo sterile ed autoreferenziale con chi ci prova.
Premessa
falsa, argomenti falsi, conclusione falsa. Personalmente sul punto non tornerò
più, e neppure sulle prossime puntate. Sono stato pedante e me ne scuso.
Vorrei stancare
il lettore ancora per poche righe per riportare il pensiero del mio confratello
don Giuliano Zanchi: “Ma verrà il tempo
in cui serviranno anche le parole. Quelle che danno ossigeno alla fiamma del
coraggio e fotoni alla luce del senso. Ne avremo bisogno tutti. Non serviranno
a niente le predichine di un troppo facile speranzismo religioso, né la melensa
gnosi che impregna la babele dei social. E nemmeno la mera ricostruzione
causalistica dei referti socioclinici. Serviranno parole che non credo nessuna
riserva catechistica sia più capace di contenere e nessuna gnosi
psicomanualistica può davvero offrire. Non so francamente da dove salteranno
fuori. Certe parole non esistono già pronte. Nascono spesso dal concime della
tragedia e occorrono torrenti di libertà spirituale per innaffiare il terreno
che può farle germinare. Ma ne avremo altrettanto bisogno che di un sospirato
efficace vaccino. Magari ci vorrà anche molto silenzio prima di trovarle”.
Ecco un po’ di
silenzio. Grazie.
don Luca
Peyron