Nasce l’Alphabet Workers Union, il primo sindacato della Silicon Valley

 


È accaduto: anche la Silicon Valley ha il suo sindacato la cui semplice esistenza incrina la narrazione di una terra dei liberi e felici che lavorano esclusivamente per migliorare il mondo. 225 dipendenti di Google creano il gruppo e si affiliano alla sigla “Communication Workers of America”, che rappresenta gli addetti alle Tlc negli Usa e in Canada.

Al centro le rivendicazioni tipiche di ogni sindaco su compensi, molestie e sull’etica, ma con alcune novità, specchio e profezia del tempo che viviamo. Sul sito il manifesto dell’Alphabet Workers Union è chiaro: “Il nostro sindacato si impegna a proteggere i lavoratori di Alphabet, la nostra società globale e il nostro mondo. Promuoviamo la solidarietà, la democrazia e la giustizia sociale ed economica”. Particolarmente interessante la dichiarazione dei valori ove si affiancano alle statuizioni che ci si aspetterebbe da un sindacato, anche delle prese di posizione figlie della trasformazione digitale, e del tutto dirompenti come: “Tutti gli aspetti del nostro lavoro dovrebbero essere trasparenti, inclusa la libertà di rifiutarsi di lavorare su progetti che non sono in linea con i nostri valori. Dobbiamo conoscere l’impatto del nostro lavoro, che si tratti di lavoratori di Alphabet, delle nostre comunità o del mondo” (4).

Un precedente in questo campo risale al 2018 quando un gruppo di lavoratori si opposero al progetto Maven che prevedeva l’uso bellico di AI. Ed ancora: “Diamo priorità alla società e all’ambiente invece di massimizzare i profitti a tutti i costi. Possiamo fare soldi senza fare il male” (6). Per concludere con: “Siamo solidali con i lavoratori e i sostenitori di tutto il mondo, che stanno combattendo per rendere i loro luoghi di lavoro più giusti e chiedono che l’industria tecnologica si rifiuti di mantenere le infrastrutture di oppressione” (7).

Quest’ultima dichiarazione può avere le più diverse letture: dal sistema cinese con cui Google è venuta a patti pur di mantenere la sua presenza in quel mercato, ad un più generale e generico potere computazionale che la galassia Google certamente ha, esercita e difende. Il tutto a partire da una denuncia dai toni piuttosto forti secondo cui la leadership di Alphabet è pronta a mettere il profitto davanti agli interessi di utenti e lavoratori ed al bene comune. A partire da una consapevolezza, in effetti del tutto condivisibile, che le decisioni prese all’interno di Alphabet hanno una posta in gioco alta e le conseguenze delle scelte del gruppo un impatto duraturo sui singoli, le famiglie e tutta la comunità globale.

Come esempi vengono portati YouTube che può essere tanto una piattaforma per acquisire nuove competenze come uno strumento di radicalizzazione, oppure l’intelligenza artificiale che ha il potere di rilevare il diabete da un’immagine dei tuoi occhi, ma anche quello di rafforzare i pregiudizi e le discriminazioni. Per concludere con una constatazione globale: affrontiamo grandi sfide e l’iniqua distribuzione delle risorse nel mondo non è mai stata così evidente. Se l’organizzazione avrà futuro ed inciderà davvero sulle scelte di big G non lo possiamo prevedere, certamente possiamo fare alcune annotazioni.

La prima è che una nuova stagione si è davvero aperta con il rapporto Ciciline e questo fa ben sperare in maggiore democraticità nel sistema mondiale delle piattaforme. La seconda è che risulta del tutto evidente che è tempo di una svolta culturale per le imprese del digitale: dal profitto si deve passare alla responsabilità sociale che non esclude il primo, ma lo rafforza e può contribuire a mantenere la narrazione positiva con cui tutte le grandi società tecnologiche hanno prosperato. Una narrazione che se dovesse bruscamente cambiare o allentare avrebbe ripercussioni enormi per attività che non producono nulla senza i loro utenti che sono, nei fatti, la vera forza lavoro, coloro che mettono i contenuti senza i quali YouTube o Instagram sarebbero scatole vuote. Da ultimo è evidente che alcune rivendicazioni sono certamente utopiche se non velleitarie, ma segnalano che alla globalizzazione dei processi produttivi oggi si affianca anche la globalizzazione della sensibilità etica e sociale che si manifesta in alcuni filoni, importanti anche se parziali come quello legato all’ambiente.

Forse una nuova stagione, la prima dopo le guerre mondiali e quella fredda, in cui le Nazioni Unite possano avere una voce ascoltata su alcuni temi: l’agenda 2030 ha un humus sociale su cui potrebbe attecchire, la buona volontà delle persone e degli enti intermedi possono fare la differenza. In 250 – una inezia rispetto al comparto ed al mondo nel suo complesso – ne sono forse il segno. Del resto 2.000 anni fa erano molto meno, appena 12, e fecero eccome la differenza.

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