Il caso del brevetto intestato ad un robot e i limiti della tecnica

È successo, o perlomeno qualcuno ha dichiarato che possa succedere. L´ufficio brevetti del Sud Africa, seguito pochi giorni dopo dall Australia, ha ufficialmente concesso che una intelligenza artificiale possa essere riconosciuta come inventore in un deposito di domanda per brevetto d invenzione. La domandaè stata presentata da un team internazionale di consulenti in proprietà industriale e ricercatori dell Università del Surrey ed ha per oggetto un contenitore per alimenti basato su di un sistema geometrico a frattali.

La titolarità di un brevetto, chi può farne uso esclusivo e trarne vantaggio, può oggi essere nella legislazione internazionale ed in quelle di tutte le nazioni del mondo, una persona fisicao giuridica. Ma nel medesimo quadro legislativo l inventore, o gli inventori, debbono essere persone fisiche, esseri umani, anche se lavorano a tempo pieno per una impresa, anche se il loro lavoro è remunerato espressamente al fine di produrre invenzioni brevettabili. Il diritto ad essere riconosciuto autore è da sempre considerato inalienabile, a differenza di quello legato allo sfruttamento economico. La ragioneè dunque squisitamente di carattere per così dire umanistica, filosofica. Nonè una ragione commerciale, ma legata alla dignità delle persone ed al carattere eminentemente umano dell inventare, del creare. Si tratta del cosiddetto diritto morale, sancito nel nostro ordinamento dall art 62 del codice del diritto industriale o l articolo 4ter della Convenzione di Parigi per la Proprietà industriale del 1883.

L AI di cui parliamo è stata creata da Stephen Thaler ed ha un nome, DABUS, che sta per «device for the autonomous bootstrapping of unified sentience». Il brevetto è stato depositato anche negli Usa, Uk e in Europa edè stato per ora formalmente rifiutato perché non corrisponde, appunto, alla forma prescritta che deve indicare una persona umana quale inventore, la sola – secondo la modulistica – che abbia una capacità mentale di produrre una invenzione e che sia giuridicamente imputabile del diritto evocato. Ma il rifiuto formale era scontato, solo in un quadro più ampio, dopo i ricorsi prevedibili, sarà possibile dire se effettivamente ci troviamo di fronte ad un passaggio storico. Comunque andràa finire, il mondo della proprietà industriale era quello che prima o poi si sarebbe dovuto occupare della questione e delle sue ricadute. Il vero banco di prova della rivoluzione industriale è quello delle architetture giuridiche dei Paesi e dei trattati internazionali, un po comeè avvenuto per i diritti civili. Solo se il diritto fotografa in qualche modo la società è possibile dire che essa è davvero cambiata ed ha assunto culturalmente in sé un nuovo sentire. 

Tra le molte considerazioni che possiamo fare credo che una sia decisiva e dirimente. La tecnica deve avere un limite? Essa nasce per superarli i limiti, è nativamente illimitata e quindi solo l essere umano, e lui soltanto, deve decidere se porreo meno dei limiti. La tecnica non esiste come essere a se stante, è un concetto che noi usiamo sempre più spesso come se fosse un ente autonomo, senziente e con dei piani precisi, ma è una finzione linguistica. O forse possiamo scegliere che non lo sia più. Qui sta la questione, filosofica, teologica e dunque culturale ed infine giuridica. Il piano del giudizio che siamo chiamati a dare non è nell ordine morale del bene e del male. Non dobbiamo decidere che sia bene o male che un AI sia imputabile di rapporti giuridici, la questione, io penso, sia altra e su di un altro piano. Dobbiamo decidere, edè oggi, quale sia il fine ultimo della tecnica, anzi della tecnologia ossia la tecnica che è diventata un ambiente di vita entro cui ci muoviamo e che determina la cultura entro la quale vediamo ed interpretiamo il mondo e noi stessi, l umano. A mio giudizio la tecnica deve essere sempre connessa all essere umano, non può esistere una tecnica ed una tecnologia che non abbiano l umano come fine, l umanizzazione dell umano come scopo, come teleologia, oserei dire quasi escatologia. Non si tratta semplicemente di mettere l umano al centro, nel senso di far sì che la tecnica non sia per lui dannosa nei molti modi in cui il danno può essere declinato. È di più, è una scelta di campo che incide sui processi economici, finanziari, sociali e giuridici. Ma l essere umano è dignità incomparabile, teologicamente divina, laicamente universale. Quindi no, una intelligenza artificiale non può essere titolare di brevetto per invenzione perché non ne ha la dignità, perché permetterlo significa calpestare le ragioni per cui il diritto esiste che non sono l affidabilità del mercato, ma la tutela di chi noi siamo, a partire dai più fragili. Congratulazionia Stephen Thaler, DABUS è solo un acrostico e non me ne vorrà, perché neppure sa cosa possa significare essere risentiti.

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