Il Centro per l’Intelligenza Artificiale con sede a Torino, previsto e finanziato da una legge dello Stato, langue nelle more degli iter ministeriali da diversi mesi. Perché la questione dovrebbe interessare l’opinione pubblica e non solo la piccola porzione che se ne occupa? Perché questi temi riguardano l’uomo e la donna di ogni giorno? Perché dovrebbe riguardare la Chiesa ed il Vangelo? La risposta è nei numeri, nel modo in cui crescono i nostri bambini, nel futuro del mondo.
L’intelligenza artificiale è una tecnologia in continua evoluzione che governa buona parte delle nostre vite. Soprattutto essa governa ciò che vediamo, come lo vediamo e come ne siamo visti. Qui sta il fulcro della questione. Siamo passati dal mondo delle cose al mondo dei dati, dalla realtà fisica a quella virtuale. Ma soprattutto le generazioni che stanno venendo alla vita lo stanno facendo in un mondo in cui la stessa conformazione fisica del cervello è determinata dall’uso delle tecnologie emergenti. Uno studio molto recente ci dice che i bambini che usano tecnologia digitale prima di aver imparato a parlare – il tablet baby sitter – hanno perso buona parte della massa bianca rispetto ai loro genitori. In soldoni tra una o due generazioni, se continua questo trend, gli abitanti di questo pianeta avranno seri problemi nell’uso della lingua e nell’apprendimento.
Un secondo dato: oggi le grandi compagnie tecnologiche detengono un potere economico e finanziario inimmaginabile. La sola Apple con quanto ha di liquido o pronti contro termine – quello che ognuno di noi ha sul conto corrente e nel portafoglio – è in grado, domattina, di comprarsi tutto il listino del quotato in borsa a Londra. Solo con gli spiccioli che ha in tasca. Tutto questo è legato in maniera diretta con l’intelligenza artificiale. Ecco perché governarla, progettarla e comprenderla significa avere le chiavi del futuro, non solo dell’economia, ma dell’antropologia, di chi siamo e saremo. Del mondo.
Il Centro per l’Intelligenza Artificiale di Torino, per cui la Diocesi si è spesa nei due anni passati ed io personalmente a nome della Diocesi, non è stato e non è tuttora solo una occasione di rilancio occupazionale. Il Centro di Torino, oggi ridimensionato nelle intenzioni iniziali, ma comunque – laddove partisse – significativo, potrebbe essere uno strumento cruciale per governare questi processi laddove essi diventano prodotti e servizi di uso generale e generalizzato. Che il Centro sia a Torino o altrove. Da qualche parte deve pur essere e presto. Due Governi hanno deciso che sia a Torino, che a Torino finalmente sia. La questione cruciale non è geografica. Ma di senso, quindi di Vangelo.
La scienza e la tecnica non possono essere considerate al di sopra di sé stesse. La tecnologia e la cultura tecnica hanno sempre detto bene di sé, hanno veicolato un’accettazione acritica di qualunque risultato, e anche i fallimenti sono stati sempre gestiti come utili per il progresso. Ne è derivata una concezione formale della tecnica e della scienza come epigoni di verità e di bene. Idoli gelosi tanto da soppiantare a mano a mano ogni altra forma di fondazione autoritativa quali la religione, la morale, persino la democrazia. Ma se il sistema tecnico funziona esteriormente, cioè funzionalmente, esso non si può reggere senza un sottostante sistema valoriale e di senso che lo avalli e culturalmente lo giustifichi.
La verità rende liberi, la performance tecnologica affascina, ma alla lunga si rivela per quello che è. Qui sta il Vangelo, qui sta il dialogo culturale e dei saperi, qui sta la democrazia, qui sta l’essere umano. E, dunque, qui sta la Chiesa, non con un ruolo di guardiano, ma con la responsabilità della profezia. Se occorre anche antipatica, anche insistente, petulante. Ma non abbiamo padroni, perché abbiamo un Padre. Non abbiamo servitori, ma solo una vocazione al servizio. Non ci accontentiamo delle briciole che cadono dalla tavola di nessuno, perché siamo chiamati a spezzare il pane dell’unico Dio con chi pane non ne ha. Oggi per il centro di Torino sull’intelligenza artificiale, domani in qualunque Galilea delle genti il Signore ci chiami.