L’interazione con un robot ci può spingere a dare il meglio di noi stessi

 

Uno sguardo reciproco con un automa influenza l’attività neurale umana e incide sui processi decisionali, in particolare ritardandoli


Delle macchine sappiamo cosa vedono, sappiamo cosa sentono, sappiamo cosa fanno. Da oggi vorremmo sapere cosa provano. No, non è vero. Ma è solo questione di tempo, così qualcuno sostiene. Ma da oggi, questo sì, abbiamo seriamente cominciato a studiare cosa proviamo noi per loro. Cosa succede infatti quando un robot e un umano interagiscono guardandosi l’un l’altro? I ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia hanno studiato se lo sguardo di un robot umanoide influenza il modo in cui le persone ragionano in un contesto in cui devono assumersi responsabilità.
Quello che hanno scoperto è che uno sguardo reciproco con un robot influenza l’attività neurale umana, incidendo sui processi decisionali, in particolare ritardandoli. Quindi, uno sguardo robot porta gli umani a percepirlo come segnale sociale. Questi risultati hanno forti implicazioni per i contesti in cui gli umanoidi possono essere colleghi di lavoro, supporto clinico o assistenti domestici.
Lo studio, pubblicato su Science Robotics, è stato concepito nell’ambito di un più ampio progetto finanziato dal Consiglio europeo della ricerca su questi temi. Più che affermare che i robot ci osservano, è corretto dire che noi osserviamo loro mentre ci osservano creando così un circolo ermeneutico ed epistemologico davvero interessante.
Quali considerazioni dedurne? Solitamente l’attenzione dei commentatori è focalizzata sui possibili danni e relative responsabilità generati dalle tecnologie emergenti, lasciando alla creatività dei ricercatori e dell’impresa, per così dire, la parte propositiva. In altri termini il mondo guarda e critica in attesa che l’accademia e l’industria propongano. Il legislatore mette vincoli, l’imprenditore va oltre.
Noi invece vorremmo coltivare una diversa prospettiva, quella antronomica, che ci spinge in diversa direzione. In un tempo in cui la velocità dell’innovazione sovrasta di gran lunga la nostra capacità a lungo raggio di vedere gli esiti e i difetti della tecnologia, pare più promettente al posto di sanzionare, orientare prima, fornire una visione e un orizzonte, umano, verso cui progredire. Lo studio genovese scientificamente fonda l’intuizione per cui la macchina condiziona il nostro sguardo. Perché dunque non approfittarne e conferire uno scopo educativo alla macchina stessa, senza preoccuparci solo e sempre della libertà di autodeterminazione della persona?
Viviamo un tempo senza padri, senza regole, senza argini. Molti diritti, eclissi dei doveri. Io ipertrofico e bene comune ai minimi termini. Abbiamo confuso la crescita biologica con lo sviluppo morale, l’aumento del Pil con la complessiva capacità culturale dei consociati. Abbiamo da due decenni una emergenza educativa seria. Perché non allearsi con la macchina per scopi virtuosi?
Un esempio in tale senso semplice ed efficace ci viene dalla Romania. Nella città di Cluj Napoca sono state installate nei pressi delle stazioni degli autobus delle macchinette automatiche - gestite da intelligenza artificiale - che rilasciano il biglietto in due modi: pagando la tariffa di 50 centesimi oppure facendo 20 squat in 2 minuti. La scelta preferita dalle persone risulta essere la seconda a discapito della fatica! Si tratta di un chiaro incentivo per la popolazione ad assumere uno stile di vita più sano e attivo, ma gestito da una macchina, accompagnato da una macchina.
In termini assoluti la macchina non sostituisce l’essere umano, non può educare al suo posto, ma certamente può sostenere con il potere computazionale e sociale che le abbiamo conferito, un processo virtuoso. Una macchina per le virtù, una macchina studiata per incentivare la virtù e, con essa, l’umanizzazione dell’essere umano. Le applicazioni possono essere tante quanti i domini in cui oggi maggiormente sentiamo il bisogno e la lacuna. Ed in questa prospettiva vi sarebbero attese di mercato interessanti.
La lim (lavagna interattiva multimediale) non ha sostituito la capacità di insegnare di un docente, ma certamente ha aperto orizzonti di narrazione che la lavagna e il gessetto non potevano permettere. Oggi possiamo segnare una ulteriore svolta creando un pensiero di cornice, una nuova epistemologia scientifica per ingegneri ed informatici ed una nuova consapevolezza tecnologica per umanisti e filosofi.
Dobbiamo preservare la dignità umana non conferendo alla macchina quanto non le compete, ma nello stesso tempo non dobbiamo dimenticare che la dignità umana, affinché non sia un concetto astratto, ma la vita concreta delle persone, ha bisogno che per essa si facciano investimenti, di denari ma soprattutto di pensiero che guida l’azione.
Jacques Maritain ci ha dato una splendida definizione degli scopi dell’educazione: “Guidare l’essere umano nello sviluppo dinamico durante il quale egli si forma in quanto persona umana - provvista di conoscenza, giudizio e virtù morali – mentre, nello stesso tempo, a lui giunge l’eredità spirituale della nazione in cui nasce e della civiltà a cui appartiene oltre al secolare patrimonio delle generazioni che lo hanno preceduto e che così si conserva”.
Guiderà un umano l’educazione di un umano, ma perché non farlo con un servosterzo e un servofreno più tecnologico? Consapevoli, da oggi, che il robot lo guardiamo con occhio sempre più partecipe e che egli ci guarda. Non si può aspettare il meglio da noi, perché non ha consapevolezza, ma il suo sguardo oggi può determinare in noi una spinta a dare il meglio. Una rivoluzione, questa volta, che non sostituisce, ma che genera. Niente male in una condizione digitale che così tanto ci spaventa.
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