La Croce Rossa Internazionale sta chiedendo a gran voce che si crei una etichetta digitale che possa contrassegnare quelle porzioni di cyberspazio che hanno le medesime funzioni di un ospedale da campo
Pur nella loro atrocità le guerre e chi le combatte seguono alcuni codici. Non accade sempre e più esse sono sporche, non dichiarate, e folli oltre la follia della guerra in sé stessa, meno tali codici vengono mantenuti. Tuttavia, almeno per motivi di bieca opportunità, tali codici persistono ed hanno un valore concreto e non meramente simbolico. In fondo chi oggi attacca può essere ferito e catturato domani. Fa dunque parte dell’addestramento di ogni esercito convenzionale la conoscenza del diritto bellico che tutela tali condizioni e situazioni: non si spara, per dirla in una battuta, sulla Croce Rossa, sul mezzo contrassegnato dalla Mezzaluna Rossa, su chi ha ben visibili sull’uniforme quei segni.
Cosa accade quando la guerra si sposta, o meglio si duplica, anche nello spazio digitale, nel cyberspazio? La Croce Rossa Internazionale sta chiedendo a gran voce che si crei una etichetta digitale che possa contrassegnare quelle porzioni di cyberspazio che hanno le medesime funzioni di un ospedale da campo. Vi è infatti, secondo il comitato di Ginevra, un costo umano significativo anche nelle operazioni informatiche in tutti i teatri, ma specialmente in quelli bellici. Esiste già un quadro normativo che può essere utilizzato, applicando per analogia le statuizioni dell’annesso uno al primo protocollo che affianca la Convenzione di Ginevra. In esso sono elencati e ben marcati i segnali elettrici, radio ed elettronici che identificano il personale medico e paramedico e le relative operazioni in un teatro operativo.
La guerra in Ucraina sta evidenziando il fatto che la trasformazione digitale abbia significativamente investito anche la meno onorevole espressione dell’agire umano organizzato. Dagli interventi di Elon Musk che fornisce copertura satellitare alle connessioni internet, alla strozzatura della fornitura di chip che blocca i mezzi corazzati più e meglio di qualunque attacco missilistico o campo minato, la cyberwar è palesemente sul campo. In effetti la discussione su questi temi è datata, già dieci anni fa la Croce Rossa poneva con forza il problema e nel 2019 ha rilasciato un position paper che evidenzia i punti salienti della questione. Tra le preoccupazioni espresse una delle più significative è la possibile propagazione degli effetti dannosi di una azione di guerra digitale a differenza di quanto avviene per un atto cinetico. Benché infatti la tecnologia digitale abbia tecnicamente e sempre di più la capacità di agire in modo puntuale, tuttavia la metamorfosi digitale ha reso tutto sempre più connesso e proprio tale connessione diventa il veicolo di danni particolarmente ingiusti ed odiosi anche oltre il perimetro originariamente fissato.
Quanto oggi si evidenzia, in tempo di metaversi ed ambienti digitali sempre più significativi per ogni tipo di attività umana, è la necessità di contrassegnare con marker digitali spazi franchi e, soprattutto, dati da custodire come possono essere i dati medici della popolazione civile o più in generale tutti quei dati che sono da considerarsi sia sensibili sia decisivi rispetto alla vita delle popolazioni civili. Posizioni velleitarie? Forse no se pensiamo al fatto che l’algoritmo, a differenza dell’umano, non è soggetto a tentazioni. In una operazione di cyberwar se l’algoritmo è programmato per rispettare tali spazi li rispetterà, senza tentennare di fronte ad una porta, roso dal dubbio che al di là, nell’ospedale da campo, si possa nascondere una minaccia reale camuffata con i segni della Croce Rossa. Naturalmente l’algoritmo è obbediente in ambo i sensi e può essere comandato, per speculare struttura, di fare operazioni terribili senza che vi siano le remore morali del soldato in carne ed ossa che disobbedisce ad ordini odiosi. Come sempre la tecnica non decide, evidenzia, accelera, amplifica ma nei suoi fondamenti etici e morali chiede lumi all’essere umano. Si tratta di ulteriori sfide per i tecnici di oggi e di domani che debbono lavorare fianco a fianco con i giuristi, i filosofi ed i teologi di oggi e di domani, per una sfida umana che continua, nella speranza che la follia senza ritorno che la guerra rappresenta, abbia prima o poi la fine che tutti auspichiamo. Con una attenzione, mi sia concesso, alla nostra latente ipocrisia. È importante non dimenticare infatti tutte le guerre digitali e non che ognuno di noi continua a scatenare sui social e sui pianerottoli del condominio.
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