Il parroco con un telescopio sul tetto della chiesa

Al Torino Space Festival (4-7 maggio) don Peyron racconta la sua storia di astrofilo tra scienza e fede. Quando nel Seicento per qualche decennio le costellazioni pagane furono cristianizzate


Siamo così disabituati a vederlo, che un cielo gremito di stelle lascia sgomenti. Nel buio profondo di remoti luoghi di montagna, l’universo ci sovrasta in modo schiacciante. Un binocolo che in ogni direzione moltiplica per dieci quelle stelle, dà le vertigini.

Senti che l’infinito ti avvolge. Affiorano domande. Perché tutto questo sfolgorio di astri? Chi sono, che ci faccio qui al cospetto dell’eternità? Siamo soli o intorno a quelle stelle pullulano altre forme di vita?

Emozioni altrettanto forti si provano puntando un piccolo telescopio sulla Luna: ci sembrerà di volare sopra montagne, crateri, pianure, crepacci, picchi dalle ombre taglienti. Poi verranno le notti di Giove e dei suoi quattro satelliti che nel gennaio 1610 sorpresero Galileo: un sistema solare in miniatura.

Le notti degli anelli di Saturno e, in inverno, della nebulosa M42 nella costellazione di Orione, dove nuove stelle stanno nascendo. E poi il Sole, le nebulose planetarie, la luce silenziosa della Stazione Spaziale che ospita sette astronauti e orbita alla velocità di 27 mila chilometri l’ora.

Con l’astronauta Paolo Nespoli

E’ il percorso che Luca Peyron traccia nel libro «Cieli sereni» appena pubblicato nelle edizioni San Paolo (160 pagine, 15 euro). Lo presenterà giovedì, ore 17, a Torino nell’aula magna della Cavallerizza nel giorno di apertura dello Space Festival (4-7 maggio). Prima di lui, Adrian Fartade, youtuber e divulgatore scientifico rumeno; dopo di lui Paolo Nespoli, astronauta che detiene il record italiano di 330 giorni in orbita sulla Stazione Spaziale.

Cinquant’anni, sacerdote dal 2007, laurea in giurisprudenza, parroco della Madonna di Pompei, don Peyron si è fatto un osservatorio sul tetto della chiesa in via San Secondo 90. Vocazione astronomica tardiva, ha bruciato le tappe.

Partito pochi anni fa con un piccolo ma ottimo telescopio Maksutov da 10 centimetri di apertura, ora ne usa uno da 23 centimetri che raccoglie sei volte più luce e gli permette di scattare fotografie eccezionali, incredibili per il cielo di Torino sbiancato dall’inquinamento luminoso.

Per fortuna l’elaborazione informatica fa miracoli anche senza ricorrere al soprannaturale: don Peyron coordina il servizio per l’apostolato digitale, insegna al Politecnico di Torino e fa parte del Consiglio scientifico dello Humane Technology Lab dell’Università cattolica di Milano.

Una iniziazione

Il libro di don Peyron è la storia di una iniziazione all’astronomia vissuta con il batticuore e con il pensiero alla fede che offre le sue risposte ai grandi interrogativi esistenziali sollevati dalla contemplazione astronomica.

Nel 1627 l’astronomo gesuita Julius Schiller pubblicò ad Augusta il “Coelum Stellatum Christianum”. Era la risposta all’antica astronomia della mitologia pagana e alla nuova astronomia copernicana che sei anni dopo porterà Galileo al confino di Arcetri. Eppure Schiller non adottò le posizioni stellari di Tolomeo e Ipparco ma quelle misurate da Tycho Brahe e da Keplero, un atto a modo suo rivoluzionario.

Per qualche decennio le costellazioni rappresentarono simboli cristiani (disegno in alto) e i segni dello zodiaco presero il nome di santi: Pietro al posto dell’Ariete, Andrea per il Toro, Giovanni Evangelista per il Cancro, Matteo per il Sagittario, Giacomo Maggiore per i Gemelli e Giacomo Minore per la Vergine.

Pianeti ribattezzati

Anche i pianeti furono ribattezzati: Mercurio diventa Elia di Tisbi, Venere Giovanni Battista, Marte Giosuè, Giove Mosè, Saturno Adamo, la Luna Maria Vergine, il Sole Cristo Re. La riforma riguardò anche tutte le costellazioni boreali e australi: la Nave Argo diventa l’Arca di Noè, la Chioma di Berenice il Flagello di Cristo, Cassiopea Maria Maddalena, Ercole I tre Re Santi, il Cigno la Santa Croce, Andromeda il Sepolcro di Cristo, Pegaso l’Arcangelo Gabriele, l’Orsa Maggiore la Barca di Pietro, la Minore San Michele.

Il cartografo tedesco Andreas Cellarius rilanciò la toponomastica cattolica nell’”Atlas coelestis seu Harmonia Cosmica” del 1661 e il veneziano costruttore di globi terrestri e astronomici Vincenzo Maria Coronelli nella “Epitome Cosmografica” del 1693. Ma il cielo cattolico non riuscì a imporsi. Troppo artificiale e “politica” l’operazione, troppo radicata la mitologia classica. D’altra parte diciamo ancora che il Sole sorge e tramonta, non che la Terra gira.

Bellezza estetica e spirituale

Oggi il cielo, in particolare lo spazio circumterrestre, dovrebbe essere di tutti, ma di questo bene comune stanno impossessandosi le multinazionali di Elon Musk e Jeff Bezos lanciando migliaia di satelliti per vendere Internet (anch’essa nata come bene comune). Quei satelliti tracciano graffi e sfregi sulle foto astronomiche. Forse Don Peyron in questo inizio di millennio ha preso per la coda la bellezza estetica e spirituale del cielo, chissà se potranno farlo le prossime generazioni.