Progresso, etica e spiritualità: intervista a don Luca Peyron | AI Talks

Continua la nostra serie di interviste per approfondire temi e trend dell’intelligenza artificiale. L’ospite di questa settimana è don Luca Peyron, teologo ed esperto di tecnologia, che porta una testimonianza su progresso e innovazione.

Don Luca Peyron è laureato in Giurisprudenza all’Università degli studi di Torino e ha svolto attività professionale in ambito europeo. È stato tra i primi in Italia a interessarsi delle questioni inerenti al rapporto tra diritto industriale ed Internet.

Nel 2001 poi è entrato in seminario a Torino e si è laureato in teologia presso la Pontificia facoltà teologica, senza mai abbandonare la passione per la Rete e l’innovazione digitale. Dal 2021 infatti è fellow del Centro Nexa su Internet e Società del Politecnico di Torino e dal 2022 fa parte del Consiglio scientifico dello Humane Technology Lab dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

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In un intervento ha detto che “la prima intelligenza artificiale è Pandora”. Ci vuole spiegare meglio da dove nasce questa suggestione e cosa significa?

Ovviamente l’AI, dal punto di vista tecnico, è un prodotto molto più recente dei miti greci. Tuttavia possiamo dire che la mitologia greca e la letteratura di molte regioni del mondo hanno da sempre fatto i conti con l’idea di un oggetto, una macchina, un robot con una capacità propria di essere “intelligente”. È insita nell’uomo l’idea di cosruire una tecnologia “intelligente” e di poter creare qualcosa come farebbe il Creatore. Quello che viviamo oggi con l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, rispetto al mito di Pandora, ai golem e a Frankenstein, ha delle caratteristiche decisamente più interessanti e intense.

Intelligenza artificiale che quindi dona agli uomini una sorta di “super potere”. In questo senso si potrebbe affermare che, con il progresso della tecnologia, l’uomo sia sempre più simile a Dio. Come possiamo imparare a gestire questo potere?

Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, diceva l’Uomo Ragno. Lo stesso dovrebbe valere per l’intelligenza artificiale. Non parlo di responsabilità in termini esclusivamente giuridici, cioè la responsabilità di farsi carico di eventuali danni creati da un oggetto o di una macchina. Fin quando parliamo solo di responsabilità penale o giuridica, siamo ancora lontani da quello di cui avremo bisogno.

Ci spieghi meglio…

Come dicevo nel lontano 1996 occupandomi di diritto industriale e Internet, penso che la vera questione non sia di carattere giuridico ma culturale. Come indirizziamo questo flusso creativo e quello che stiamo creando? La grande sfida è proprio questa. Inseguire i processi tecnologici pensando di arginarli con delle regole è velleitario. Ovvio, le regole e i quadri giuridici devono esserci, ma dovremmo provare a rispondere a una grande domanda. L’essere umano è asservito alla macchina o è la macchina ad essere al servizio dell’essere umano? Per rispondere è necessario avere ben chiaro dove vogliamo arrivare, la questione investe tutta la società. Cosa vogliamo per il nostro Pianeta? La tecnologia dovrebbe essere al servizio dell’essere umano, ma molto spesso – penso agli investimenti militari – andiamo nella direzione opposta.

Il progresso porta con sè anche alcuni rischi: come affrontare le tematiche più delicate poste dall’AI?

Non esiste progresso autentico senza sviluppo. Dal punto di vista teologico potremmo dire che soltanto ciò che ci autenticamente umanizza è degno dell’essere umano. Il progresso in sé non è né buono né cattivo, deve essere giudicato. Che impatti ha sull’umanità? È accessibile? Soltanto rispondendo a queste domande potremmo definire il progresso come sviluppo, cioè come elemento che collabora al compimento dell’umano.

Ci fa un esempio?

Pensiamo di applicare l’intelligenza artificiale generativa a un social network come TikTok, ampiamente utilizzato da una fascia di popolazione composta da minori e giovanissimi, e lo rendiamo attivo 24 ore su 24, permettendo a un ragazzo di interagire con questo social in modo antropomorfo, come se stesse colloquiando con un’altra persona. Mettiamo che l’AI si dimostri amicale, disponibile a parlare tutto il giorno e tutta la notte, che impatti avrebbe questo sullo sviluppo di un adolescente? Un giovanissimo che passa più tempo su TikTok che con i propri amici, di fatto, perde il rapporto con i propri pari, quel legame necessario per diventare adulti consapevoli. Sembra un esempio banale, ma da queste cose dipende il futuro dell’umanità. Per questo è importante fare attenzione a tutti gli aspetti, anche morali ed etici, del progresso tecnologico.

La grande sfida, quindi, è pensare a una convivenza tra uomo, spiritualità e macchina. A tal proposito, ci viene in mente la missione spaziale “Spei Satelles”. In cosa consiste?

Diversi mesi fa papa Francesco chiese di porre un segno in continuità con la Statio Orbis di marzo 2020, trasformando quell’esperienza drammatica in un segno di speranza. Un anno dopo, nel 2021, è stato pubblicato il libro che raccoglie i pensieri, le foto e le confidenze del Pontefice. Per l’anniversario del 27 marzo, si è così pensato di organizzare una missione spaziale, Spei Satelles.

L’8 giugno dalla California verrà messo in orbita un satellite, che conterrà un nanobook con il libro del papa, una trasmittente radio che invia messaggi di speranza che possono essere ascoltati da tutto il Pianeta e un chip con i nomi di chi ha scelto di far parte di questa missione. Ci si iscrive (qui), si impegna a fare un’azione concreta di fraternità.

Qual è il significato di questa missione spaziale?

La tecnologia è al servizio del significato. Questo satellite, infatti, non ha una funzione precisa. Il suo scopo è quello di dire che noi possiamo usare la tecnologia per costruire fraternità.