“L’intelligenza artificiale serve ma non deve asservire”

Dobbiamo essere vivi». Questo, secondo Don Luca Peyron, è l’unico modo per affrontare il cambiamento che ci attende. Don Peyron è faculty fellow del centro Nexa su Internet, società del Politecnico di Torino, fa parte del Consiglio scientifico dello Humane Technology Lab dell’Università del Sacro Cuore e ha coordinato gli aspetti pastorali della prima missione spaziale della Chiesa Cattolica, Spei Satelles. Il suo ultimo libro «Cieli Sereni» affronta la tecnologia dal punto di vista della fede.

Sopravviveremo all’avvento dell’intelligenza artificiale?
«Dovremo tornare a essere uomini per farlo. Come tutte le evoluzioni tecnologiche, se servirà sarà utile, se asservirà sarà deleteria. Saremo noi a fare la differenza».
Che cosa vuol dire tornare a essere uomini?
«Tornare a essere vivi. Scendere dal divano e ricominciare a vivere. La pandemia ci ha reso ancora più solitari: non possiamo più permetterci di brontolare dietro lo schermo di un pc. Dovremo metterci in gioco e prenderci delle responsabilità»
Sta parlando delle nuove generazioni?
«No, i ventenni di oggi sanno perfettamente quando usare un social e quando spegnerlo per iniziare a pensare o a leggere: sono loro i maggiori acquirenti di libri di carta. I social, soprattutto facebook, sono usati da cinquantenni e sessantenni frustrati. Sono proprio loro che devono imparare a usare i social e le tecnologie, sapere quando usarle e quando smettere. Non si può più dire: il mio tempo è passato, adesso tocca ad altri».
Perché?
«Per non negare agli altri il patrimonio di conoscenze di cui sono in possesso, auto relegandosi a un ruolo di burbera marginalità: tutti dovranno ricominciare a vivere e a dare il proprio contributo, serenamente, a questa società. Senza contare che, tra uno o due anni, anche un settantenne per prendere il biglietto dell’autobus dovrà ricorrere a queste tecnologie. Non se ne potrà più fare a meno»,
Come sarà possibile adattarsi?
«Dovremo ricominciare a pensare: la nostra dignità sta in questo. Siamo stati abituati per troppo tempo a pensare che questa risiedesse in quanto consumiamo ma non è così. La dignità dell’uomo non è in quanto consuma, ma è nel suo pensiero. E’ questo che lo rende uomo e non macchina. Dovremo ricominciare a dialogare e smettere di discutere».
Un cambio di paradigma sociale?
«A farla da padrone non sarà la legge del più forte ma la legge del più vivo. Le macchine non lo sono. Noi siamo umani e possiamo fare molto di più. Ma dovremo farlo»
Ci saranno ripercussioni sul mondo del lavoro?
«Prendo ad esempio la figura professionale del correttore di bozze: in molti dicono che non ci sarà più, sostituita da software molto più performanti. Ma non sarà solo così: già adesso le grandi multinazionali stanno licenziando interi settori produttivi sostituendoli con le macchine.»
Non siamo pronti allora…
«Abbiamo scuole che insegnano come dialogare con le macchine? Abbiamo università che educano al pensiero laterale e non a quello verticale focalizzato sul singolo bullone? Abbiamo un mondo del lavoro con la flessibilità di pensiero necessario per poter instaurare un proficuo rapporto con le macchine? Abbiamo una Pubblica Amministrazione che saprà rimodularsi al servizio, e non come ostacolo, alla collettività? Abbiamo una cultura che saprà andare oltre la superficie?»
Me lo dica lei…
«Le avremo. Dovremo averle. Il mondo va in quella direzione, dovremo usare le macchine e non farci sostituire, diventando parte attiva e propositiva di questo tempo, utilizzando le peculiarità che ci rendono umani: vivendo. Mi fanno un po' sorridere le persone che sui social criticano la politica e poi non vanno a votare. Dobbiamo essere parte attiva».

Qui il post originale