I robot? Alla Chiesa non fanno paura

 

«Grazie all’ultimo Sinodo, che affronta i problemi legati alla nuova era digitale, noi cristiani siamo sul pezzo: possiamo contribuire a governare il progresso alla luce delle Scritture»


Per la Chiesa non è un terreno sconosciuto. La tecnologia, come l’Intelligenza artificiale, è tornata più volte nei discorsi di papa Francesco che, per il Sinodo in corso, ha voluto un progetto per portare il “processo sinodale” negli ambienti digitali. È nato così “La Chiesa ti ascolta”, del quale fa parte anche don Luca Peyron, 51 anni, direttore dell’Apostolato digitale di Torino e consigliere dell’Humane Technology Lab (Htlab), il laboratorio dell’Università Cattolica su esperienza umana e tecnologia, che sarà uno dei relatori della Biennale Tecnologia di Torino. Successivamente è atteso all'Università Cattolica di Milano, il 4 maggio, nell'ambito del percorso di formazione e aggiornamento dedicato all'Intelligenza artificiale e la comunicazione pastorale promosso dall'arcidiocesi di Milano.

Don Luca, a proposito di Intelligenza artificiale si parla di post-umano.C’è un limite all’uso della tecnologia rispetto all’umano?
«L’essere umano è il crocevia di due fondamentali tensioni: la prima è quella a superare il proprio limite, un desiderio sano, che da sempre ci abita. Nello stesso tempo l’essere umano patisce il peccato originale che rischia di far diventare questo suo desiderio idolatria, cioè superamento del limite “fontale”, un figlio che non vuole avere dei padri, un padre, Dio. Questa dinamica ha sempre attraversato la storia dell’umano. E non è un caso che la tecnologia sia stata usata per molti aspetti non come motore di sviluppo ma di sopraffazione, quasi sempre nella sua versione militare. Dal punto di vista della ricerca sarebbe sbagliato porre dei limiti. Dal punto di vista dell’esito di quelle ricerche il limite è la dignità umana, l’interezza dell’umano come creatura».

Per la teologia quali sono le cose positive nell’evoluzione della robotica? E le minacce?
«Parlare di vantaggi e minacce ci pone in una condizione di aut/aut (o questo o quello). La teologia cattolica è sempre et/et (sia questo che quello), perché la dinamica cristologica è una dinamica in cui l’umano e il divino coesistono nella stessa persona. Non esiste il positivo e il negativo, il bianco e il nero, il giusto e lo sbagliato, la minaccia, la paura e dall’altra parte il successo. È sempre un’operazione di continua dinamica e discernimento. La questione non è se il robot è una minaccia o un vantaggio, ma con quali finalità lo costruisco».

Oltre alla meccanica si studia anche il livello cognitivo ed emotivo per i robot. Potremo parlare di robot-persone, di dignità dei robot?

«Assolutamente no. La macchina è un oggetto, non possiamo darle dei diritti solo perché diventa antropomorfa. Non prova emozioni, non ha coscienza di sé, può imitare alcune funzioni umane, ma è ontologicamente diversa dall’umano. Dal punto di vista fenomenologico inventiamo macchine che assomigliano e imitano, ma dal punto di vista ontologico la differenza è incolmabile, sono macchine e nulla di più».

Ma chi decide dove vogliamo andare, chi controlla dove si va?

«Il controllo statuale è un ragionamento che si adatta alla società ottocentesca. Il problema è maturare una coscienza e condividere informazioni, sapienza e saperi, un’educazione che ci permetta, come consociati, di guardare insieme verso determinati orizzonti. Oggi la transizione tecnologica la governano pochi soggetti, supermonopolisti, estremamente ricchi e potenti, che indirizzano il pensiero delle persone con il potere algoritmico di cui sono capaci. È una grande questione di democrazia, nel senso di governo del popolo che sa quello di cui stiamo parlando. Perciò in questo momento della storia è fondamentale un’informazione che non sia allarmista o entusiasta, ma formativa, una capacità di educare un desiderio umano condiviso, una riformulazione collettiva delle ragioni per cui stiamo insieme. Con un’opinione pubblica focalizzata e informata, chi governa questi processi si adeguerà al mercato, perché sono imprese private».

Il Concilio parlava dei segni dei tempi. Questa rivoluzione tecnologica che segno è?

«È la prima volta che nella storia della Chiesa siamo sul pezzo. Il Sinodo ne è una dimostrazione, non siamo impreparati. È un processo in itinere che è oggetto di discernimento e di indicazioni da parte del magistero. Ed è importante perché viviamo in un tempo in cui è morto il pensiero organizzato e governare il futuro è impossibile. Il fatto che la Chiesa offra al mondo un suo pensiero a partire da un suo codice di lettura della realtà, come può essere la Scrittura e la Tradizione ecclesiale, è certo una buona notizia per la Chiesa, ma anche per il mondo nel suo complesso».


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