I post dei politici e gli esami di catechismo

Performativa
è una parolaccia che si usa soprattutto in teologia e sta a significare che una parola detta da qualcuno, anzi da Qualcuno, ha una capacità tutta sua di rendere reale quello che viene detto.

Il racconto della creazione è il migliore esempio possibile: e Dio disse ed ecco qua quel che dice semplicemente c’è. 

Tale capacità performativa presso gli umani è possibile solo a certe madri in certi momenti della vita, o a nonne e zie armate di ciabatte.

La performatività del dire, in altri termini, ha che fare direttamente con l’atto creativo e quindi tendenzialmente con il divino e le sue prerogative. 

Si sa, è il peccato originale, che noi umani desideriamo essere come Dio – ed è cosa buona – ma dimentichiamo che lo possiamo fare solo in compagnia di Dio. Ecco perché Gesù che è umano e divino, realizza il disegno originale e mette ordine nei fatti di Adamo che quel disegno mandò a carte quarantotto.

Chi pensa e desidera e crede che la sua parola, nel momento in cui viene detta, generi effetti immediati dovrebbe ben sapere che sta dicendo a se stesso ed a chi lo ascolta che si sta assumendo poteri creativi di indole divina

Ci proviamo tutti, spesso. 

Il peccato originale è originante ma poi  poco originale, ci caschiamo tutti. 

È tipico dei sovrani e per restare nel mio mondo, tipico di vescovi, cardinali e parroci pensare che quel che è detto avvenga e, dunque, che sia sufficiente dire affinchè avvenga. 

Era l’editto, la bolla pontificia, la predica dal pulpito di ieri e di oggi. Talora era anche vero, almeno con le frasi di poco conto, altre volte meno se si parla di riforme e rivoluzioni consimili.

Vengo al punto ed alla cronaca: la trasformazione digitale ha reso la parola molto veloce, molto efficace. Effettivamente per tanti versi molto più performante e, quindi, talora performativa o perlomeno ne dà l’illusione. 

Lo dico: accade perché l’ho detto, pubblicato, postato. 

Se scrivo un post su di una piattaforma qualunque, nella mia lingua natia, quale effetto voglio che esso abbia? Rendere noto a qualcuno qualcosa e fare in modo che il mondo lo sappia? Sono gli auguri a mia madre.

Abbracciare tutto un popolo in un momento tragico? Questo è più complicato, soprattutto se scrivi in una lingua che quel popolo non comprende, soprattutto se quel popolo è occupato a fare altro oltre a leggere i tuoi post. 

Ecco quando scrivi un post così, chiunque tu sia, non lo scrivi per il destinatario, lo scrivi per il resto del mondo, non esageriamo, per quel pezzetto di mondo che ha la bontà di leggerti dopo che l’algoritmo che gestisce la piattaforma ha deciso quale pezzetto, in effetti. 

Lo scrivi per mille ragioni, alcune nobili altre un po’ da sciacallo. 

Però se scrivi pensando che quello che scrivi sia performativo, o semplicemente un po’ paraculo, ti prego: scrivilo giusto, scrivilo bene

Se sei un vescovo, un cardinale, un Papa lo devi scrivere giusto perché rappresenti la Chiesa che io amo e per cui ho dato la vita.
Se sei un politico lo devi scrivere giusto, perché rappresenti un Paese che io amo e per cui i miei avi hanno dato la vita.

Se non sei capace fai una cosa: smetti di crederti Dio, fai un passo indietro con umiltà, chiedi scusa e studia o perlomeno stai più attento, oggi sei tu, domani potrei essere io, non prendertela.
 
Tutti possono sbagliare, Dio è misericordia. 

Ma se invece di chiedere scusa fai altro allora no, io mi arrabbio e sono triste.  

Anche Adamo ed Eva hanno sbagliato, il problema per loro e per noi è che non hanno chiesto scusa, si sono azzuffati l’uno l’altro. 

È finita male. Non solo per loro, per tutti. 

Lo diciamo da duemila anni, il vero problema è che a catechismo non possiamo bocciare.

Con affetto, non tantissimo questa volta

don Luca 

p.s. un abbraccio ai libici, ai libanesi ed a tutti voi.