HuffPost: La collaborazione umano macchina

 


La tecnologia ci ha spaventato ed abbiamo reagito, ed è un bene. Nasce un sistema di intelligenza artificiale – Maia – che non tenta di vincere qualunque sia l’avversario – umano o macchina - ma è addestrato a giocare come un essere umano, sbagli inclusi, anzi soprattutto considerando quelli. Il nuovo programma trova applicazione negli scacchi, una arena consolidata per studiare questo tipo di tecnologia e sfrutta gli stessi algoritmi dei migliori programmi che già possediamo, ma invece di imparare come vincere – o stravincere nel caso l’avversario sia un essere umano – Maia scruta il suo avversario umano per cercarne le debolezze e prevederle, non semplicemente prevenirle ed approfittarne. Secondo Jon Kleinberg a capo del team di ricerca: «Così gli scacchi diventano un luogo in cui possiamo provare a comprendere le abilità umane attraverso la lente dell’IA super intelligente».

Insomma l’intelligenza artificiale non impara per battere l’umano, ma per prevenirne gli errori, per capire dove sbaglia, o ancora meglio dove sbaglierà. In questo progetto – si legge sul sito della Cornell University – i ricercatori hanno cercato di sviluppare un’intelligenza artificiale che riducesse le disparità tra comportamento umano e algoritmico addestrando il computer sulle tracce dei singoli passaggi umani, piuttosto che insegnare a sé stesso a completare con successo un intero compito. Maia è stata anche in grado di individuare quali tipi di errori commettono i giocatori a livelli di abilità specifici e quando le persone raggiungono un livello di abilità in cui smettono di fare tali errori. La ricerca è innovativa, ma soprattutto è un salutare passo in avanti rispetto al rapporto uomo-macchina. Il potenziale delle tecnologie emergenti è tale e tanto che spaventa e preoccupa perché siamo poco attrezzati a rispondervi culturalmente.


Mettere l’umano al centro è ormai un mantra, ma come si possa fare resta una sfida. Maia va nella giusta direzione perché si basa su un diverso paradigma. La tecnologia tendenzialmente sostituisce l’essere umano al punto che si configura giorno dopo giorno come ente autonomo che agisce autonomamente e questo fa paura. Laddove invece la tecnologia si pone accanto all’umano assistendolo non solo nel compito che deve portare a termine, ma nelle modalità in cui lo porta a termine, cambia radicalmente il paradigma. L’umano resta al centro e viene assistito dalla macchina nella sua fallibilità. La macchina lo rende maggiormente capace di stare nella realtà in cui egli si colloca valutando i possibili errori che vengono commessi ed eventualmente riconoscendo gli schemi che portano a tali errori. In qualche modo l’intelligenza artificiale assume un compito maieutico nei confronti dell’umano spingendolo non ad entrare in competizione con il silicio, come avviene ora, ma con sé stesso ed i propri limiti ed errori.

Se ricordiamo che il lavoro, qualunque lavoro, ha dal punto di vista teologico prima di tutto un valore vocazionale Maia è un ottimo alleato. Il lavoro dovrebbe servire in prima istanza a comprendere chi siamo, perché il fare ci può aiutare a svelare il profondo di noi, l’inespresso ma soprattutto l’inesprimibile. Il senso più autentico di ciascuno e dell’umano nel suo complesso. Questo nuovo schema collaborativo uomo-macchina può andare in questa direzione: quella di aiutarci a scoprire che abbiamo dei limiti, che questi possono essere superati, ma che il limite in sé non è una malattia o un male, ma il luogo di incontro con noi stessi, con il nostro desiderio di essere pienamente noi stessi, il desiderio di migliorare per sé e soprattutto per gli altri. Ridurre il divario tra approccio umano ed approccio algoritmico impedisce all’umano di macchinizzarsi nel vano tentativo di sostenere la concorrenza con la macchina. Maia reca con sé anche una seconda nuova buona notizia. Se il funzionamento della macchina segue schemi per noi più comprensibili perché modellati sul modo in cui l’essere umano conosce, decide e sceglie, sarà possibile controllarne le mosse e comprenderle molto di più di quanto già ora siamo in grado di fare rendendo così la tecnologia molto più trasparente e dunque governabile ed indirizzabile. Insomma benvenuta Maia, ti osserviamo con attenta simpatia.

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