«Cari giornalisti, spegnete il pc e scendete in strada»

 

A pochi giorni dalla Settimana e dal Festival della comunicazione don Giuseppe Lacerenza ci illustra la maratona che si apre il primo maggio dedicata all'etica dell'informazione.«Nell'epoca dei social networks l'unico modo per conoscere la verità è consumare le suole delle scarpe, come dice papa Francesco» 




Uno degli organizzatori della Settimana della Comunicazione, curata da Paoline e Paolini, che si svolgerà dal 9 al 16 maggio, è il paolino dalla personalità poliedrica don Giuseppe Lacerenza, pugliese di Barletta (dunque abituato alle “disfide” per tradizione), ingegnere civile, teologo, esperto di comunicazione digitale, a pochi passi dal sacerdozio (sarà ordinato il prossimo giugno). Don Lacerenza ha maturato la sua vocazione dopo aver scritto una biografia sul beato Giacomo Alberione. «Il fondatore della congregazione della San Paolo possedeva una visione profetica della comunicazione», spiega. «Aveva infatti compreso appieno l’incredibile potenzialità delle piattaforme multimediali al servizio del Vangelo già 100 anni fa, che a quel tempo erano i libri, i giornali, la radio, la Tv e il cinema. Oggi considererebbe Internet una prosecuzione naturale del suo apostolato».

Per il secondo anno di fila la Settimana della Comunicazione sarà in Rete e non in presenza.

«Purtroppo sì, quest’anno è interamente on line, ma questo ci ha dato una forte spinta a potenziare le piattaforme multimediali per usufruire dell’evento. Fino a due anni fa l’iniziativa si è tenuta con numerosi eventi su tutto il territorio nazionale dove sono presenti le Paoline e Paolini, in collaborazione con diocesi e associazioni culturali. Tra l’altro, all’interno dell’evento Settimana organizziamo il Festival della Comunicazione, una vera festa che ogni anno organizziamo con una diocesi italiana. Quest’anno sarà eccezionalmente ospitata da due diocesi: Molfetta e Rieti, dall’1 al 16 maggio, con un altro ricco programma».

Come si fa a partecipare all’evento della Settimana della Comunicazione?

«Ci si collega attraverso la pagina Facebook  dal titolo “Settimana della Comunicazione”.  Tra l’altro l’evento è preceduto da molti contributi preparatori. Dalla prossima settimana condivideremo sulla nostra pagina alcuni post che ci permetteranno di conoscere il messaggio di papa Francesco. Sul sito www.settimanadellacomunicazione.it sarà disponibile la versione sfogliabile e scaricabile in pdf del numero speciale di “Pagine Aperte”, che è un periodico della Diffusione San Paolo, con articoli di vari esperti che riflettono sul messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della comunicazione: da Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione, a Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della CEI. Il francescano padre Paolo Benanti ha scritto un interessantissimo articolo sull’etica delle tecnologie, il gesuita Francesco Occhetta ci ha parlato della testata digitale Comunità di Connessioni, mentre don Luca Peyron si sofferma sull’apostolato digitale. Inoltre il bravissimo Marco Carrara, conduttore ed esperto social, che conduce Agorà e Timeline su Rai 3, ci racconta i social nella Tv».

Come si svolge il calendario dell’evento?

 «La Settimana della Comunicazione vera e propria va dal 9 al 16 maggio. Ma c’è un lungo calendario di avvicinamento, come in un crescendo rossiniano, che parte dal primo del mese. Una serie di interventi, uno al giorno, con vari esperti: cito la riflessione biblica affidata alla teologa Adriana Valerio, le testimonianze di Massimiliano Padula, don Luca Peyron, Francesco Occhetta. Quando si entra nel vivo, il 9 maggio, pubblicheremo una bella intervista che Marco Carrara ha fatto a Michelle Hunziker. Michelle tra le altre cose è molto attiva e seguita sui social. Vi stupirà, vedrete, ha lanciato dei messaggi molto interessanti, parlando anche del rischio della manipolazione della mente nel mondo della comunicazione. È previsto anche l’intervento di Paolo Borrometi sul coraggio del giornalismo (Borrometi è sotto scorta per le sue inchieste sulla criminalità organizzata), mentre Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, tratterà gli aspetti etici del giornalista e dell’operatore della comunicazione in generale in un’intervista a cura di don Roberto Ponti. Anche don Antonio Rizzolo, direttore di Famiglia Cristiana, Credere e Jesus, dialogherà con un personaggio del mondo della comunicazione. Paolo Ruffini in occasione della Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, il 16 maggio, ci condividerà un suo pensiero sul messaggio del Papa».

Don Lacerenza, cosa l’ha spinta ad approfondire queste tematiche, come è approdato ad organizzare la Settimana della Comunicazione?

«Ho un passato di ingegnere civile. La mattina ero impegnato in progetti di ristrutturazione dei ponti stradali, la sera collaboravo con un religioso della mia città, padre Bernardino Bucci, alla biografia della serva di Dio Luisa Piccarreta, con raccolte di testimonianze e testi sulla spiritualità sulla Divina Volontà. Ho prodotto anche numerosi contributi in video, ampliando le mie conoscenze sulla comunicazione multimediale. Grazie a una proposta della casa editrice Shalom, ho poi realizzato una biografia su don Alberione, cui mi applicavo sempre la sera, al ritorno dallo studio tecnico in cui lavoravo. Man mano che scrivevo sentivo che il Signore mi chiamava alla vocazione religiosa e così ho iniziato il mio cammino di discernimento, fino ad entrare nella congregazione nel 2011, dove tra le altre cose coordino il sito Alberione.org.  Ho conseguito il baccalaureato in teologia nella Facoltà Teologica di Padova e ho frequentato un master in comunicazione digitale. La Settimana della Comunicazione mi pare un approdo quasi naturale, a cui sono stato condotto dai miei superiori della Società San Paolo».

Il tema della Settimana si intitola “Vieni e vedi”, in omaggio alla lettera del Papa sul giornalismo, che riprende la tradizionale metafora del cronista che consuma le suole delle scarpe. Non stride con il giornalismo moderno di oggi, che utilizza soprattutto il telefono e si abbevera ai siti e ai social networks?

«Il messaggio è legato proprio alla situazione che stiamo vivendo adesso. C’è proprio questo rischio per il giornalista o il comunicatore. Di rimanere nel cyberspazio. Il pericolo si lega soprattutto alla povertà, che è uno dei sigilli del magistero di Francesco. La miseria, nell’ambiente digitale, si rischia di non vederla. Da qui la preoccupazione di Francesco di tornare in strada. Poiché c’è questa tendenza a informare seduti alle nostre scrivanie, è più forte il rischio che nessuno vada più nei luoghi in cui si svolgono i fatti, per stare in prima linea, non solo in guerra ma anche su fronti come quello del disagio e dell’indigenza. Una cosa che mi ha colpito del messaggio è quella frase ispirata al Vangelo di Giovanni “Vieni e vedi”. Gesù dice: per potermi raccontare, per farti comprendere chi sono e cosa faccio, non sono sufficienti solo le parole ma è necessario che vivi con me, entri in relazione con me. I discepoli di Gesù sono andati e lo hanno seguito. Da questo evento del Vangelo il comunicatore ne trae una considerazione: non dobbiamo fermarci solo al “Pensa e parla”.

L’opinionismo non basta nel giornalismo. Il giornalista deve andare nei luoghi dove c’è la realtà concreta, ricostruire ciò che ha visto e comunicare con maggiore autenticità. Perché la comunicazione autentica significa farsi sorprendere e stupire da ciò che non si conosce».

Si dice che San Paolo se fosse vissuto oggi avrebbe fatto il giornalista…

 «Io credo che il tesserino di giornalista si possa affidare anche a tutti i discepoli, non solo all’apostolo delle genti. Coloro che sono stati con Gesù hanno davvero accolto l’invito “Vieni e vedi”. Automaticamente sono stati testimoni della Verità (quella con la V maiuscola) in maniera spontanea, naturale. In questo senso sono diventati giornalisti, hanno raccontato con la loro vita, le loro parole e le loro opere, la Buona Novella. Pietro stesso negli Atti degli Apostoli adopera frasi molto forti in cui descrive l’evento di Cristo e la Resurrezione in maniera molto puntuale. E a me colpisce che “lo faceva con franchezza”. Con una cognizione naturale legata all’esperienza fatta sulla sua carne e la sua vita, con coraggio. A bene vedere, tutto questo è l’essenza del giornalismo».