Instagram e la storia di un patibolo redento

 

Solo costruendo un mondo, una cultura ed un processo educativo che ridia al limite, alla fragilità, alla gentilezza, al difetto un tratto di misericordia possiamo pensare di avere un futuro




Instagram fa male ai giovani. In molti lo hanno denunciato, anche su queste pagine, ma oggi, grazie ad una inchiesta del Wall Street Journal, abbiamo prova che le piattaforme lo sanno bene. Emerge così, i dati sono del marzo 2020, che circa un terzo delle ragazze adolescenti a disagio con il proprio corpo ritenga che Instagram le faccia sentire peggio. Per il 40% degli adolescenti britannici e statunitensi la percezione di non essere abbastanza attraenti è nata proprio con l’utilizzo del social. La piattaforma minimizza dichiarando che i risultati pubblicati sono parziali e che sono attive diverse campagne per ovviare a queste situazioni, ma la questione resta.

Una doppia questione: da una parte sugli esiti dell’uso massivo dei social da parte dei più giovani, dall’altra la responsabilità sociale delle piattaforme rispetto a questi esiti. La risposta è una solamente, e non è di tipo giuridico. Non si tratta di mettere degli argini, di prevedere delle pene o delle sanzioni. La risposta è esclusivamente di tipo educativo, sui due fronti. In un mondo globale la responsabilità del mondo è globale. Se questo vale ed è finalmente socializzato rispetto all’ambiente inteso come biosfera lo stesso vale per l’ambiente digitale, l’infosfera. E va finalmente socializzato. È ipocrita far denaro sulle spalle dei più fragili facendo un po’ di lavaggio di coscienza con campagne mirate ad alcuni fenomeni. La questione è più ampia, radicale. Risiede innanzitutto negli algoritmi stessi che hanno come obiettivo rendere dipendenti gli utenti, poi è incardinata nelle architetture del sistema che rafforzano stereotipi e conferiscono obbiettivi precisi. Ed infine in un processo in cui tanto di detentori delle piattaforme quanto gli utenti, sono coinvolti in una costruzione di mondi fittizi dove la manipolazione della realtà sembra essere il solo modo per accettarla la realtà.

Pochi giorni fa la Chiesa cattolica ha festeggiato liturgicamente l’esaltazione della croce. Se la vediamo da vicino è una festa apparentemente mostruosa. Esaltare un patibolo è folle. Immaginate se al posto della croce, segno e simbolo ormai redento e dal significato mutato, noi festeggiassimo l’esaltazione della sedia elettrica, l’esaltazione del cappio, l’esaltazione della mannaia del boia. Follia. Ma follia non è quando si parla della croce perché, anche culturalmente, essa è diventata segno di misericordia, di condivisione, di amore sino al sacrificio. Segno di pace e di benevolenza. Per i credenti perché a morirci sopra è Dio stesso, per chiunque altro perché in quel segno si può riconoscere il confine di un amore innocente e sconfinato.

Il punto, tornando alla notizia che commentiamo, è il medesimo. Solo costruendo un mondo, una cultura ed un processo educativo che ridia al limite, alla fragilità, alla gentilezza, al difetto un tratto di misericordia possiamo pensare di avere un futuro. L’economia delle piattaforme sociali è basata sul consenso di coloro che vi abitano, di coloro che conferiscono valore pubblicando di se stessi o di altri. È una economia molto fragile, non perché immateriale, ma perché basata sulla volubilità delle persone e delle società.

Il potere di acquisto di chi oggi le detiene è tale da potersi permettere di comprare gli eventuali competitori, Facebook ed Instagram non nascono come figli di un medesimo padre, diventano fratelli solo dopo che il primo ha sborsato miliardi per comprare il secondo verso cui le giovani generazioni stavano confluendo. Questo processo è difficilmente contrastabile, ma si tratta di giganti con i piedi di argilla. È pur vero che possono comprarsi campagne giornalistiche per continuare a sostenere la loro popolarità, ma è anche vero che il sistema, da loro stessi costruito, dà voce a chiunque, e certe voci possono correre in fretta, basta solo che vi siano alternative migliori che, prima o poi, non si faranno comprare. Ma lo scontro non è l’unica soluzione. Le piattaforme rafforzano di stereotipi. Ma non è scritto da nessuna parte che gli stereotipi debbano essere solo negativi. Perché non fare alleanza per rafforzare stereotipi che siano virtuosi, che siano positivi, che siano educativi? La potenza computazionale per farlo esiste. Qualcuno obbietterà che vende sempre di più la cronaca nera, ma la domanda, più seria, è se per fare denaro non ci stiamo vendendo una generazione intera rendendola più fragile ed ansiosa di ogni precedente generazione. Una generazione che potrebbe giustamente dire basta. Alleati, non nemici, potere a servizio, non solo dei bilanci. Utopia? Sogno? Delirio? Un patibolo è diventato segno di vita. È possibile, è già successo.

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