Quanto mi pare interessante è l’uso formativo ed educativo che invece ne fanno. Che non sostituisce però lo studente nelle sue fatiche, ma il professore nelle sue lacune. Gli universitari del mio campione chiedono alla macchina di essere aiutati a ripercorrere con maggiore puntualità ed acribia teoremi, dimostrazioni, codice e via dicendo. Il professore frettoloso non spiega come si deve? Va troppo veloce o dà per scontato troppo? Ci pensa ChatGpt. La nostra precomprensione adulta rischia di pensare che i giovani cerchino scorciatoie, ed invece il dato che rilevo è che sopperiscono con la macchina alle nostre scorciatoie.
Questa piccola indagine, dal valore più cronachistico che scientifico, mi porta ad una considerazione di fondo. Ascoltare ed interrogare i giovani non è un vezzo, una delicata attenzione, una doverosa incombenza. Ma è una necessaria e quanto mai salutare prassi se vogliamo avere qualche possibilità di governare il presente ed il futuro insieme e con buon frutto. La giovinezza ha sguardi meno preconcetti dei nostri, più liberi, più profondi, sanamente dissacranti, ingenuamente infelici. Per governare la metamorfosi tecnologica abbiamo estremo bisogno di sapienza e prudenza, ma nello stesso tempo abbiamo bisogno di impudenza e sregolatezza. Le regole che ci dobbiamo dare non possono essere adeguamento, ma debbono essere creativamente inedite. Perché quanto sta accadendo è inedito e molto veloce.
Nella giovinezza ci interessa scoprire chi siamo e ciò che ci circonda, persone e cose, riconducono lì. Scoprire chi siamo mi pare la missione prima di questa nostra generazione ibridata dalla macchina. Scoprire chi è l’umano che parla con il silicio e chi diventa l’umano che delega all’algoritmo è la prima sfida di questo tempo. Più della trasformazione del mondo del lavoro, più della riorganizzazione dell’azienda. Vengono dopo, e non verranno mai bene senza questo prima che è necessità di tutti. Riprendere il gusto della ricerca dell’identità, con tutta la fragilità di un percorso di questo tipo, con tutta l’incertezza adolescente e giovanile di dover fare i conti con nuove forze che scopriamo di avere e che così goffamente proviamo a gestire.
Come la statura che cambia in un’estate, come la voce che matura in pochi mesi. Non è forse quello che ci sta accadendo da un giorno all’altro con l’esplodere del potere computazionale? Come i primi amori trafiggono il nostro cuore, così la macchina ci sta colpendo nel profondo suscitando passione e delusioni, desiderio e paura. Questo tempo, come la giovinezza, abbiamo il dovere di farlo esprimere nella sua unicità affinché sia davvero promettente, anche accentando che sia radicalmente diverso dal passato, accettando, come per i giovani, che siano radicalmente diversi da noi e non siano la proiezione di quello che siamo o, più spesso, non siamo riusciti ad essere. Ma nello stesso tempo, come ogni adulto dovrebbe fare, questa unicità va educata ed accompagnata affinché non sia mera espressione di forze e di emozioni, ma verace compimento di una promessa ancora in germe.
Quale promessa c’è nella metamorfosi digitale? Promessa di senso, non di semplice efficienza ed efficacia? Se ad un giovane chiediamo semplicemente di addestrarsi per entrare in un ingranaggio produttivo distruggiamo forse per sempre la ricchezza che egli potrebbe essere. In questo tempo dobbiamo avere la stessa cura ed attenzione anche per il mondo delle macchine e la loro nuova indole pensante. Non intendo qui suggerire un nuovo status giuridico per l’algoritmo, sto piuttosto evocando per noi un nuovo atteggiamento mentale in questo complesso compito maieutico di quanto si sta generando nelle nostre mani e nei nostri laboratori. Nella Bibbia la salvezza nasce sempre dalla predilezione, da un Dio che predilige la sua creatura. La salvezza, comunque la si voglia intendere, verrà solo da una rinnovata predilezione per l’umano, da un atteggiamento che educa la giovane tecnologia a diventare adulta più che tecnologicamente matura.
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