A otto anni dall'Enciclica "Laudato sì" Francesco torna sul tema con un'Esortazione sulla sofferenza del pianeta usando toni duri: «Una presa in giro trattarla come una vicenda romantica, è un problema umano e sociale in senso ampio». Critiche e silenzi hanno accompagnato il testo che invece solleva un tema che riguarda innanzitutto la fede. E soprattutto è un messaggio sul nostro vero bene.
C’è un tempo in cui chi ha responsabilità soprattutto globali deve battere il tempo alla Storia. Lo ha fatto nei giorni scorsi Papa Francesco con l’Esortazione apostolica Laudate Deum. «Sono passati ormai otto anni dalla pubblicazione della Lettera enciclica Laudato sì, quando ho voluto condividere con tutti voi, sorelle e fratelli del nostro pianeta sofferente, le mie accorate preoccupazioni per la cura della nostra casa comune. Ma, con il passare del tempo, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura».
«Non reagiamo abbastanza»
Le parole del breve documento sono forti, dure, stringenti. Mostrano più che dimostrare, denunciano con fermezza piuttosto che alludere o esortare. Uno stile non usuale per i documenti di un pontefice ma, in effetti, non è per nulla usuale il momento storico che l’umanità vive. Sullo sfondo delle parole di Bergoglio c’è un insegnamento fermo della dottrina sociale della Chiesa, il principio della destinazione universale dei beni. Così lo esprime il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 2404: «L'uomo, usando dei beni creati, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri. La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della provvidenza; deve perciò farlo fruttificare e spartirne i frutti con gli altri, e, in primo luogo, con i propri congiunti».
L'origine antropica
La proprietà privata è un elemento del diritto naturale, secondo la Chiesa, ma ha un vincolo che è la fraternità universale. Da questo principio discendono le parole forti di papa Francesco soprattutto nei confronti di coloro che hanno un potere, economico o tecnologico che sia. Il che, in questo tratto della storia, di fatto ha una stringente corrispondenza. La casa comune brucia o muove avvelenata, avverte il Pontefice, per ragioni legate all’essere umano - «L’origine umana – “antropica” – del cambiamento climatico non può più essere messa in dubbio» – ma non a tutti gli esseri umani, in modo specifico a coloro che hanno le leve del potere e lo usano in modo sconsiderato. «Tutto ciò che esiste cessa di essere un dono da apprezzare, valorizzare e curare, e diventa uno schiavo, una vittima di qualsiasi capriccio della mente umana e delle sue capacità».
Stati sempre più deboli
Questo delirio di onnipotenza sfugge al controllo internazionale e degli Stati, sempre più deboli, ed è per giunta, fintamente sostenuto da una cultura effimera e fragile. «Si incrementano idee sbagliate sulla cosiddetta “meritocrazia”, che è diventata un “meritato” potere umano a cui tutto deve essere sottoposto, un dominio di coloro che sono nati con migliori condizioni di sviluppo». Il giudizio è lapidario, forte, per molti versi inedito nel linguaggio:«Non sarà più utile sostenere istituzioni che preservino i diritti dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti». Fa bene sentire che qualcuno ha il coraggio di dire che il re è nudo: «Poniamo finalmente termine all’irresponsabile presa in giro che presenta la questione come solo ambientale, “verde”, romantica, spesso ridicolizzata per interessi economici. Ammettiamo finalmente che si tratta di un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli». Perché l’esortazione apostolica ha il titolo scelto? Lo spiega Francesco stesso, in conclusione: «Lodate Dio è il nome di questa lettera. Perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso».
Sepolto dal silenzio
Arrivano i primi commenti, decise critiche, addirittura parole forti che mettono in dubbio la cattolicità del Papa. Molto silenzio. Un documento così deciso viene sepolto nella comunicazione dalle tante altre comunicazioni. Un sospetto e forse più che un sospetto nasce. Che i profeti, ancora una volta, vengano abbandonati nel deserto, derisi, uccisi. La Scrittura ha pagine e capitoli di racconti così, e fu pure la sorte di Cristo. Il Papa tocca un argomento scomodo. Lo fa con durezza e scomodando parole forti. Qualcuno dubita che sia una questione di fede. Ma lo è eccome: perché se l’essere umano diventa l’idolo di se stesso e dei suoi poteri la questione è di fede prima ancora che di morale e società.
La sensazione è che queste pagine siano nate di getto, da un cuore ferito, da un cuore sdegnato.
Si può permettere un Papa di essere ferito e sdegnato e di metterlo nero su bianco?
Francesco è il papa della Misericordia. Nulla per lui è più importante di questo, la misericordia lo muove, lo spinge, lo ispira. Dio è Padre di Misericordia per il papa dell’altro capo del mondo. Questo talvolta gli forza la mano. Ma in un modo fatto di durezze, di ingiustizie, di poteri sordi, avere un uomo a capo di una istituzione moralmente così significativa, il cui cuore batte forte mi pare una gran bella notizia. Uomini e donne di buona volontà, intelligenti e misericordiosi, cercasi.
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