Accoltellato per un like. Non riduciamo un delitto a un errore di sistema

Sul caso del tredicenne di Recco: ognuno di noi è l’esito di tutte le relazioni che ha maturato nella sua esistenza a casa, a scuola, nei luoghi di aggregazione. E da oggi on line. I giovani non sono macchine da resettare in caso di malfunzionamento, le persone non sono ricondizionabili come un telefono cellulare


Un ragazzino di 13 anni di Recco ha accoltellato un 14enne alla gamba, all'addome e a un fianco a Sori, nella città metropolitana di Genova. Così riporta l’ANSA. Le ragioni? Quelle sbagliate, ma purtroppo di sempre, le attenzioni ritenute inopportune, nei confronti di una ragazza. Quello che è nuovo rispetto al passato, e ci fa approdare dal conosciuto al territorio della modernità digitale, è la molla che ha fatto reagire il giovanissimo: un like messo alla foto dell'ex fidanzatina del tredicenne.


Cosa possiamo imparare dal sangue versato? Ogni volta che la nera ci scuote, torna il tema dell’educazione affettiva. L’educazione è una materia che si insegna? Gli affetti sono come la storia, la geografia, la matematica? Bisogna reagire, ma il semplice inserire l’educazione affettiva tra le materie scolastiche nasconde una comprensione fuorviata dell’essere umano, influenzata dalla cultura tecnica che ci avvolge. Se la macchina non funziona si ripara, se la macchina sbaglia correggiamo l’errore di programmazione così che non sbagli più. Accostare umano e macchina, come ci spinge il continuo uso di caratteri antropomorfi nella descrizione della macchina (intelligente, generativa) crea una cultura fuorviante.


Una persona non funziona. E non ha delle funzioni. È vero che abbiamo “pezzi di ricambio” come arti o valvole, ma sono una soluzione tanto meravigliosa quanto estrema. Una corretta affettività, una capacità di stare nelle relazioni, il dominio di sé rispetto alle pulsioni dell’istinto, la capacità di contemperare le spinte dei desideri con la dignità dell’altro, non sono una routine in codice inseribile nel sistema. Ognuno di noi è l’esito di tutte le relazioni che ha maturato nella sua esistenza a casa, a scuola, nei luoghi di aggregazione. E da oggi on line. I giovani non sono macchine da resettare in caso di malfunzionamento, le persone non sono ricondizionabili come un telefono cellulare.


Di qui la seconda questione: il digitale aumenta, potenzia. Grandezza e fragilità. Se la potenza di calcolo è al servizio della propensione al controllo arriva la coltellata. Ma se la potenza di calcolo è al servizio dell’umano quale sorprese ci riservano i giovani? Tutti, non solo i minori, viviamo on life, quella zona mista tra digitale ed analogico. Quella zona mista dove sempre di più chi è adulto significativo dovrebbe abitare con pensieri, gesti, modi di essere desiderabili e umani. Il tempo trascorso on line dai giovani è tempo dell’esperienza e dell’educazione, tempo dell’imitazione e del modello. Non è pensabile demandare alla scuola quanto è responsabilità del villaggio nella sua interezza. Se desideriamo avere un futuro diverso credo che sarebbe utile rivedere alcune nostre priorità culturali, riformare alcuni scenari e narrazioni tenendo conto dello scenario tecnico. Da una parte non considerando la performance, l’efficienza, la resistenza e la stessa resilienza che sono caratteri delle macchine, come umani.

Dall’altra stando nel digitale, soprattutto ascoltandolo e abitandolo, portando acqua pura nel fiume troppo spesso di melma che vi scorre. Chi ha ricevuto molto deve sentire il dovere di restituire altrettanto, anche on line, non per mostrarsi o dimostrarsi, ma per esserci, a presidio di un umano possibile e felice. Diversamente riduciamo la morale e l’etica a forma e funzione. Ed il delitto, anche il più atroce, a un errore di sistema. Che si resetta, che si immagina reversibile. Un incidente in una partita, in attesa di farne un’altra, usando altre vite. Ma la vita non è un gioco. Dimenticarlo ci espone al rischio che diventi tragedia. Da seppellire con l’ennesimo reel. 


Qui il post originale