La rivoluzione tecnologica e la sfida di comprendere le nuove forme di bisogno
Ci sono anche i poveri con il pc, il tablet, lo spid. O meglio ci sono coloro che sono più poveri o poveri per la prima volta a motivo del pc, del tablet o dello spid. È necessaria una riflessione sulla povertà nella condizione digitale, sui poveri della condizione digitale e le nuove forme di povertà. La trasformazione tecnologica ha generato, infatti, nuove ed inaspettate fragilità anche in quelle fasce sociali per cui la povertà comunque intesa non era che un argomento di conversazione. La velocità con cui alcuni processi sono passati al digitale ha infatti allargato enormemente il divario tra coloro che hanno accesso a determinate risorse e chi non ne ha accesso. Pensiamo, ad esempio, ai servizi pubblici per i quali è oggi necessario, per potervi accedere, disporre non solo di strumenti come lo spid od uno smartphone ma, soprattutto, delle competenze tecniche di base per poterli usare.
Una o più generazioni si sono trovate catapultate in poco tempo in uno spazio di non conoscenza ed incapacità che le hanno tagliate fuori da diritti e cittadinanza. Il cambio di frequenze della televisione, piuttosto che la necessità di avere una email per poter fare una qualsiasi richiesta a chiunque, rendono la vita di persone anche agiate improvvisamente più complessa e dunque per molti versi povera. Ovviamente per chi già versava in condizioni di difficoltà sociali, culturali ed economiche il divario aumenta. Papa Francesco nel suo messaggio scrive: «I poveri di ogni condizione e ogni latitudine ci evangelizzano, perché permettono di riscoprire in modo sempre nuovo i tratti più genuini del volto del Padre».
Queste parole, lette nella condizione digitale, significano una nuova esigenza di avvicinamento tra le generazioni, la necessità di una reciproca alfabetizzazione nel segno di una sola fratellanza che trova radice nella paternità stessa di Dio. Vicinanza alla tecnica per gli anziani e alla vita per i giovani. on l’Apostolato Digitale, nell’esperienza della nostra parrocchia che facciamo al Pompei Student Lab a Torino e nel creare occasione di incontro tra generazioni sul tema del digitale, abbiamo riscontrato l’emergere di nuovi filoni di ricchezza inaspettata, generata da un reciproco ascolto ed interesse. Il nativo digitale che incontra lo smarrimento del migrante digitale innesca una relazione quasi di tenerezze reciproche che abbattono quelle barriere di diffidenza e atavica accusa che molto spesso contraddistinguono il non dialogo tra vecchi e giovani. L’immedesimazione nel fragile digitale e l’ammirazione rispetto alla nativa capacità del giovane, innescano un processo di stima reciproca e di reciproca complicità del tutto inedita e sorprendente. Anche il tradizionale riserbo che allontana poveri e ricchi, bisognosi e datori di servizio viene meno nella consapevolezza che il terzo, lo sviluppo tecnologico torrenziale, in fondo è una tempesta che travolge tutti conferendo una inedita solidarietà globale.
Continua il Papa nel suo messaggio: «Gesù non solo sta dalla parte dei poveri, ma condivide con loro la stessa sorte. Questo è un forte insegnamento anche per i suoi discepoli di ogni tempo ». Condividere la sorte di chi è smarrito nella condizione digitale forse appare meno “sporco” o “truce” della condivisione di quelle povertà più iconi- che e radicali che hanno a che fare con l’abitare, il cibo o la malattia mentale, ma non è in questo tempo una condivisione meno evangelica, meno significativa o per certi versi “dura”. Mette alla prova non il corpo o i sentimenti, ma la nostra capacità di incontrare il diverso che è lento, ripetitivo, smarrito, confusivo. Accostarsi alla povertà digitale comporta il mettere in gioco non tanto delle precomprensioni sociali quanto piuttosto delle strutture epistemologiche, degli automatismi cognitivi, delle posture identitarie. Non è un gioco semplice, non è un gioco affatto. E vale per ambo le parti. L’umiliazione di chiedere, il bisogno di farsi ripetere, la necessità di cominciare da capo e fallire è avvilente per il povero, da sempre, ma diventa straordinariamente educativo per chi povero non era e per tutti gli altri aspetti non è diventato e non diventerà.
La condizione digitale, con il suo potere computazionale, umilia spesso l’umanità nel suo complesso, evidenziando linee di faglia impensabili e terremotando posizioni di rendita sino ad oggi intoccabili. «I poveri non sono persone “esterne” alla comunità, ma fratelli e sorelle con cui condividere la sofferenza, per alleviare il loro disagio e l’emarginazione, perché venga loro restituita la dignità perduta e assicurata l’inclusione sociale necessaria. D’altronde, si sa che un gesto di beneficenza presuppone un benefattore e un beneficato, mentre la condivisione genera fratellanza» dice il Papa. La povertà digitale fa scoprire che si può diventare poveri, che chiunque può diventare povero e che la povertà ha sempre a che fare con la dignità della persona, con la possibilità reale e feriale di poter dire ci sono anche io, anche io faccio parte di questo mondo e di questa comunità. La rivoluzione digitale cancella questa dignità senza guardare nessuno in faccia.
Quanto bene, questo male non voluto e non cercato, può farci. Scuote coscienze, sveglia da torpori e restituisce relazioni anche del tutto inedite ove il povero di ieri si scopre, semplicemente perché giovane e più capace, il beneficatore di oggi. Una considerazione finale prende le mosse da questo ulteriore passaggio: «Si assiste così alla creazione di sempre nuove trappole dell’indigenza e dell’esclusione, prodotte da attori economici e finanziari senza scrupoli, privi di senso umanitario e responsabilità sociale ». La condizione digitale è governata da pochi soggetti, privati. Qualcuno l’ha chiamata algocrazia, altro capitalismo immateriale. La velocità, la prestazione, il consumo dell’innovazione, la spinta alla sostituzione, la rivoluzione senza ponderazione sono alcuni dei tratti di questa rivoluzione per sostituzione. Prendere coscienza sulla propria pelle delle ingiustizie che questo genera ci può unire nel comune sforzo culturale che pretenda, con il portafoglio alla mano, una conversione di fondo in questi processi.
Dobbiamo vivere il realismo disincantato di chi comprende che la responsabilità sociale non nasce dall’utopia dei manifesti, ma dalla concretezza del toccare il fondo. Vale per il figlio prodigo, per l’amministratore infedele, per il ladrone pentito. Vale per i signori della condizione digitale, e per tutti coloro che prima di essa buttavano gli spiccioli superflui nel tesoro del tempio. Oggi quegli stessi devono usare GooglePay, ApplePay, SatisPay... E non ne sono capaci. «Pertanto, è decisivo dare vita a processi di sviluppo in cui si valorizzano le capacità di tutti, perché la complementarità delle competenze e la diversità dei ruoli porti a una risorsa comune di partecipazione». La condizione digitale, luogo teologico per mettere allo stesso tavolo Lazzaro e il ricco epulone. Un bell’inedito in un mondo ormai del tutto inedito per tutti.
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